giovedì 10 dicembre 2015

LEV TOLSTOJ, UN GRANDE PACIFISTA CHE CONVINSE IL MAHATMA GANDHI A VIVERE NELL'AHIMSA

                                         

Alla soglia del cinquantesimo anno di età, la vita di Leone (Lev) Tolstoj, il grande scrittore, filosofo, educatore e attivista sociale russo (1828-1910), fu attraversata da una crisi spirituale, tanto famosa quanto enigmatica, che lo fece approdare a una nuova visione di sé, del mondo, di Dio. Autore di due romanzi di risonanza mondiale come Guerra e pace e Anna Karenina, nell'ultima parte della sua vita scrisse opere narrative sempre più rivolte all'introspezione dei personaggi e alla riflessione morale. E passò il resto della sua esistenza a cercare di mettere in pratica e far conoscere agli uomini la verità che lo aveva illuminato. Fu, insomma, il più grande apostolo della non-violenza della sua epoca. Predicava la fratellanza e il perdono. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto di non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. Tanto che il suo libro Il regno di Dio è in voi, “summa” del suo pensiero profetico, nel 1908, dopo quasi cento anni di misterioso silenzio dovuto all'opposizione del governo zarista prima e di una parte degli ambienti culturali e politici europei poi, entusiasmò il Mahatma Gandhi che dichiarò:
«Mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il regno di Dio è in voi, e ne fui completamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo come troppo alto per la ricerca della verità…»
La vita di Tolstoj fu lunga e tragica, dominata da una profonda, segreta tensione: la si potrebbe definire una tragedia dell'anima.
Mi è piaciuto molto e vorrei riproporvi un celebre racconto di Tolstoj del suo periodo “mistico”, quello delle tre domande dell'Imperatore.

«Un giorno, un certo imperatore pensò che se avesse avuto la risposta a tre domande, avrebbe avuto la chiave per risolvere qualunque il problema:
Qual è il momento migliore per intraprendere qualcosa? Quali sono le persone più importanti con cui collaborare? Qual è la cosa che più conta sopra tutte?
L'imperatore emanò un bando per tutto il regno annunciando che chi avesse saputo rispondere alle tre domande avrebbe ricevuto una lauta ricompensa. Subito si presentarono a corte numerosi aspiranti, ciascuno con la propria risposta.
Riguardo alla prima domanda, un tale gli consigliò di preparare un piano di lavoro cui attenersi rigorosamente, specificando l'ora, il giorno, il mese e l'anno da riservare a ciascuna attività. Soltanto allora avrebbe potuto sperare di fare ogni cosa al momento giusto.
Un altro replicò che era impossibile stabilirlo in anticipo; per sapere cosa fare e quando farlo, l'imperatore doveva rinunciare a ogni futile svago e seguire attentamente il corso degli eventi.
Qualcuno era convinto che l'imperatore non poteva essere tanto previdente e competente da decidere da solo quando intraprendere ogni singola attività; la cosa migliore era istituire un Consiglio di esperti e rimettersi al suo parere.
Qualcun altro disse che certe situazioni richiedono una decisione immediata e non lasciano tempo alle consultazioni; se però voleva conoscere in anticipo l'avvenire, avrebbe fatto bene a rivolgersi ai maghi e agli indovini.
Anche alla seconda domanda si rispose nei modi più disparati.
Uno disse che l'imperatore doveva riporre tutta la sua fiducia negli amministratori, un altro gli consigliò di affidarsi al clero e ai monaci; c'era chi gli raccomandava i medici e chi si pronunciava in favore dei soldati.
La terza domanda suscitò di nuovo una varietà di pareri.
Alcuni dissero che l'attività più importante era la scienza. Altri insistevano sulla religione. Altri ancora affermavano che la cosa più importante era l'arte militare.
L'imperatore non fu soddisfatto da nessuna delle risposte, e la ricompensa non venne assegnata.
Dopo parecchie notti di riflessione, l'imperatore decise di andare a trovare un eremita che viveva sulle montagne e che aveva fama di essere un illuminato. Voleva cercarlo per rivolgere a lui le tre domande, pur sapendo che l'eremita non lasciava mai le montagne e riceveva solo la povera gente, rifiutandosi di trattare con i ricchi e i potenti. Perciò, rivestiti i panni di un semplice contadino, ordinò alla sua scorta di attenderlo ai piedi del monte e si arrampicò da solo su per la china in cerca dell'eremita.
Giunto alla dimora del sant'uomo, l'imperatore lo trovò che vangava l'orto nei pressi della sua capanna. Alla vista dello sconosciuto, l'eremita fece un cenno di saluto col capo senza smettere di vangare. La fatica gli si leggeva in volto. Era vecchio, e ogni volta che affondava la vanga per smuovere una zolla, gettava un lamento.
L'imperatore gli si avvicinò e disse: “Sono venuto per chiederti di rispondere a tre domande: Qual è il momento migliore per intraprendere qualcosa? Quali sono le persone più importanti con cui collaborare? Qual è la cosa che più conta sopra tutte?”
L'eremita ascoltò attentamente, ma si limitò a dargli un'amichevole pacca sulla spalla e riprese a vangare. L'imperatore disse: “Devi essere stanco. Sù, lascia che ti dia una mano”. L'eremita lo ringraziò, gli diede la vanga e si sedette per terra a riposare.
Dopo aver scavato due solchi, l'imperatore si fermò e si rivolese all'eremita per ripetergli le sue tre domande. Di nuovo quello non rispose, ma si alzò e disse, indicando la vanga: “Perché non ti riposi? Ora ricomincio io”. Ma l'imperatore continuò a vangare. Passò un'ora, ne passarono due. Finalmente il sole cominciò a calare dietro le montagne. L'imperatore mise giù la vanga e disse all'eremita: “Sono venuto per rivolgerti tre domande: ma se non sai darmi la risposta ti prego di dirmelo, così me ne ritorno a casa mia”.
L'eremita alzò la testa e domandò all'imperatore: “Non senti qualcuno che corre verso di noi?”. L'imperatore si voltò. Entrambi videro sbucare dal folto degli alberi un uomo con una lunga barba bianca che correva a perdifiato premendosi le mani insanguinate sullo stomaco. L'uomo puntò verso l'imperatore, prima di accasciarsi al suolo con un gemito, privo di sensi. Rimossi gli indumenti, videro che era stato ferito gravemente. L'imperatore pulì la ferita e la fasciò servendosi della propria camicia che però in pochi istanti fu completamente intrisa di sangue. Allora la sciacquò e rifece la fasciatura più volte, finché l'emorragia non si fu fermata.
Alla fine il ferito riprese i sensi e chiese da bere. L'imperatore corse al fiume e ritornò con una brocca d'acqua fresca. Nel frattempo, il sole era tramontato e l'aria notturna cominciava a farsi fredda. L'eremita aiutò l'imperatore a trasportare il ferito nella capanna e ad adagiarlo nel suo letto. L'uomo chiuse gli occhi e restò immobile. L'imperatore era sfinito dalla lunga arrampicata e dal lavoro nell'orto. Si appoggiò al vano della porta e si addormentò. Al suo risveglio, il sole era già alto. Per un attimo dimenticò dov'era e cos'era venuto a fare. Gettò un'occhiata al letto e vide il ferito che si guardava attorno smarrito. Alla vista dell'imperatore, si mise a fissarlo intensamente e gli disse in un sussurro: “Vi prego, perdonatemi”. “Ma di che cosa devo perdonarti?”, rispose l'imperatore.
“Voi non mi conoscete, maestà, ma io vi conosco. Ero vostro nemico mortale e avevo giurato di vendicarmi perché nell'ultima guerra uccideste mio fratello e vi impossessaste dei miei beni. Quando seppi che andavate da solo sulle montagne in cerca dell'eremita, decisi di tendervi un agguato sulla via del ritorno e uccidervi. Ma dopo molte ore di attesa non vi eravate ancora fatto vivo, perciò decisi di lasciare il mio nascondiglio per venirvi a cercare. Ma invece di trovare voi mi sono imbattuto nella scorta, che mi ha riconosciuto e mi ha ferito. Per fortuna, sono riuscito a fuggire e ad arrivare fin qui. Se non vi avessi incontrato, a quest'ora sarei morto certamente. Volevo uccidervi, e invece mi avete salvato la vita! La mia vergogna e la mia riconoscenza sono indicibili. Se vivo, giuro di servirvi per il resto dei miei giorni e di imporre ai miei figli e nipoti di fare altrettanto. Vi prego, concedetemi il vostro perdono”.
L'imperatore si rallegrò infinitamente dell'inattesa riconciliazione con un uomo che gli era stato nemico. Non solo lo perdonò, ma promise di restituirgli i beni e mandargli il medico e i servitori di corte per accudirlo finché non fosse completamente guarito. Ordinò alla sua scorta di riaccompagnarlo a casa, poi andò in cerca dell'eremita. Prima di ritornare a palazzo, voleva riproporgli le tre domande per l'ultima volta. Lo trovò che seminava nel terreno dove il giorno prima aveva vangato.
L'eremita si alzò e guardò l'imperatore. “Ma le tue domande hanno già avuto risposta”.
“Come sarebbe?”, chiese l'imperatore, perplesso. “Se ieri non avessi avuto pietà della mia vecchiaia e non mi avessi aiutato a scavare quei solchi, saresti stato aggredito da quell'uomo sulla via del ritorno. Allora ti saresti pentito amaramente di non essere rimasto con me. Perciò, il momento più importante era quello in cui scavavi i solchi, la persona più importante ero io, e la cosa più importante da fare era aiutarmi. Più tardi, quando è arrivato il ferito, il momento più importante era quello in cui gli hai medicato la ferita, perché se tu non lo avessi curato sarebbe morto e avresti perso l'occasione di riconciliarti con lui. Per lo stesso motivo, la persona più importante era lui e la cosa più importante da fare era medicare la sua ferita. Ricorda che c'è un unico momento importante: questo. Il presente è il solo momento di cui siamo padroni. La persona più importante è quella con cui siamo, quella che ci sta di fronte, perché chi può dire se in futuro avremo a che fare con altre persone? La cosa che più conta sopra tutte è rendere felice la persona che ti sta accanto, perché solo questo è lo scopo della vita”.

Il racconto di Tolstoj sembra un brano di letteratura religiosa: non ha nulla da invidiare a un qualunque testo sacro. Parliamo spesso di servizio sociale, di servire la gente, l'umanità, persone che vivono in un Paese lontano, di contribuire alla pace del mondo, ma tante volte dimentichiamo che le persone cui dobbiamo dedicarci sono innanzitutto quelle ce ci vivono accanto. Ricordiamocene, invece, proprio adesso che stiamo per celebrare il Natale, la Festività più importante e significativa per tutti i Cristiani.  

giovedì 3 dicembre 2015

PERCHÉ NON CHIAMARE UN FIGLIO JESHUA?


In queste ultime settimane ho ricevuto diverse lettere sul problema Islam. Da queste risulta chiaro come, a causa degli attentati a opera degli affiliati al sedicente califfato islamico, l'irritazione tra gli europei e non solo sta crescendo in modo esponenziale, rischiando di provocare uno scontro religioso senza precedenti. Eccone un piccolo, e in fondo innocuo esempio, in questo caso. Mi scrive Anna P. da un paese del Nord Italia: «Ho letto che a Bruxelles il nome ormai più diffuso, o uno dei nomi più diffusi, è Mohamed. Tuttavia non credo che si tratti di un caso unico. Come mai ci sono tanti genitori che dànno al loro figlio maschio il nome del loro profeta, mentre nessun cristiano, a quanto mi risulta, viene chiamato Gesù, ovvero Jeshua, il suo vero nome? Io inviterei tanti genitori cristiani a dare al loro figlio maschio appena nato questo bellissimo nome, perché non mi so rassegnare al fatto che l'Europa diventi una terra popolata da soli Mohamed».
Già, perché nessun cristiano si chiama Gesù o, per meglio dire, Jeshua? Quesito interessante, non c'è dubbio. E la risposta non è certo facile. La mia opinione è che tutto dipenda da interpretazioni errate della figura di Gesù avanzate dai cristiani e dalla Chiesa, secolo dopo secolo. Nei Vangeli, spesso Gesù si definisce “figlio di Dio”, o “figlio dell'uomo”, appellativi che però sostanzialmente significano che, grazie al suo altissimo livello di evoluzione, semplicemente aveva piena coscienza di essere un'emanazione diretta di Dio. Proprio come lo siamo tutti noi, del resto, solo che non ne abbiamo consapevolezza, accecati come siamo dal nostro Io che dirige tutta la nostra vita e ci conduce verso obiettivi lontanissimi dal livello di evoluzione di Joshua e dal riconoscimento della nostra natura divina, e anzi verso stili di vita folli (basta pensare alle continue guerre fratricide). Ma nel suo messaggio è sempre stato implicito che non solo lui, ma ciascuno di noi, è figlio di Dio. Solo che la Chiesa e i cristiani in genere hanno pensato bene di innalzare Joshua oltre il livello umano che gli apparteneva, per farne un idolo e così, implicitamente e ipocritamente, creare un modello inaccessibile, inarrivabile, inimitabile. Il tutto per avere l'alibi di continuare a vivere in sintonia con l'Io e non con il Sé, cioè con lo Spirito Universale, con l'Anima. “Lui era dio, io non lo sarò mai, quindi posso continuare tranquillamente a peccare, pentirmi, chiedere perdono, confessarmi e fare penitenza senza soluzione di continuità” è un po' il ragionamento più o meno inconscio del cristiano tipo. In questa mitizzazione di Dio, in questo metterlo su un piedistallo altissimo, inaccessibile, anziché sentirlo come un semplice uomo, seppure grandemente realizzato e un esempio spirituale da seguire per tutti noi, è chiaro che anche il suo nome è diventato quasi intoccabile. Nessuno si sognerebbe di mettere questo nome al proprio figlio perché troppo impegnativo, troppo fonte di ansie da prestazione, ed è chiaro che solo pochissimi realizzati quasi come lui, se non come lui, potrebbero portarlo senza imbarazzo. Invece un musulmano si può chiamare tranquillamente Mohamed, probabilmente perché quel profeta viene percepito molto più vicino alla popolazione “normale”, come un islamico qualunque. In più è, credo, una figura percepita come più virile, aggressiva, mentre quella di Gesù è percepita come remissiva sulla base dei suoi stessi principi che inneggiano al perdono, alla fratellanza, all'amore. Ma proprio in barba a tutti questi preconcetti, a queste idee sbagliate, a queste ipocrisie, io credo che qualunque cristiano potrebbe e anzi dovrebbe chiamare il proprio figlio Jeshua, che tra l'altro è un nome bellissimo? Chi vuole cominciare a farlo?

(Nella foto in alto, una riproduzione fotografica del mosaico in stile bizantino che raffigura il “Cristo Pantocratore” del Duomo di Cefalù, in Sicilia, risalente al 1311)

domenica 11 ottobre 2015

IL SEGRETO PER SENTIRSI LIBERI SECONDO JALAL-AL-DIN RUMI


Nei giorni scorsi ho riletto un bellissimo scritto del poeta e mistico Jalal-al-Din Rumi * (immagine sopra), che nacque nel 1207 nell'impero persiano, la regione attualmente chiamata Afghanistan, e ha lasciato all'umanità cose incredibili. Il titolo di questa sua ode è Il servo che amava le preghiere. Ha in sé due insegnamenti molto profondi: l'accettazione della realtà delle cose così come si presentano, senza volerle cambiare o forzare, e l'esortazione a restare collegati il più possibile con la nostra dimensione più interiore, con quell'oceano di silenzio pieno di echi e significati fondamentali per la nostra vita su questa Terra, nella dimensione umana, sul quale mi riprometto di tornare a meditare spesso, e sul quale invito anche voi a meditare, se vi va e se pensate possa servirvi, naturalmente.

All'alba un ricco
volle recarsi ai bagni di vapore. 
Svegliò il servo, Sunqur:
«Ehi! Muoviti! Prendi il catino e
gli asciugamani e l'argilla per lavarsi
e andiamo ai bagni».

Immediatamente Suqur prese tutto l'occorrente
e uscirono, camminando fianco a fianco.

Non appena ebbero oltrepassato la moschea, udirono la chiamata alla preghiera. 
A Suqur piaceva la preghiera delle cinque. 
«Per favore, padrone,
riposati su questa panca per un po' mentre io recito il sura 98,
che incomincia con le seguenti parole: 
“Voi che trattate il vostro servo con gentilezza”». 

Il padrone sedette sulla panca mentre Suqur entrava nella moschea.
Le preghiere finirono, e il sacerdote e tutti i fedeli 
se ne andarono, mentre Suqur rimase dentro. Il padrone aspettò
e aspettò. Infine gridò nella moschea:
«Suqur, 
perché non esci?»
«Non posso. La suprema intelligenza 
non me lo permetterà. Abbiate un po' di pazienza. 
Vi sento, là fuori».
Il padrone aspettò le sette,
poi urlò. Ma la risposta di Suqur era sempre la stessa:
«Non ancora. Non mi lascia uscire».
«Ma non c'è nessuno lì dentro,
tranne te. Tutti gli altri se ne sono andati. 
Chi ti trattiene ancora?»

«Colui che mi trattiene qui dentro è lo stesso
che tiene voi là fuori.
Colui che non farà entrare voi non lascerà uscire me».

L'oceano non permetterà al pesce di uscire dalle sue acque.
Così come tiene lontani gli animali terrestri 
quando il piccolo, delicato pesce si muove.

Le creature terrestri avanzano pesantemente sul terreno. 
Nessuna intelligenza può farvi niente.
C'è una sola possibilità di mutare questa situazione.

Dimentica il tuo aspetto. Dimentica il tuo sé. Ascolta il tuo Amico.
Quando gli ubbidirai in tutto e per tutto,
sarai libero.


* Fondatore della confraternita sufi dei dervisci rotanti (Mevlevi), è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana. Dopo la sua morte, i seguaci si organizzarono appunto nell'ordine dei Mevlevi, i cui esponenti tentavano di raggiungere stati meditativi per mezzo di danze rituali.




domenica 28 giugno 2015

LAURA ANTONELLI: UNA DONNA PER BENE, MALGRADO TUTTO SCHIAVA DEGLI ”ERRORI” DEL SUO PASSATO

Una bellissima immagine
di Laura Antonelli, deceduta giorni fa a 73 anni.
In basso, ancora l'attrice con il collega Lino
Banfi, uno dei pochi, veri amici su cui poteva
contare nell'ambiente cinematografico.  

In Italia ha fatto impressione la morte avvenuta in povertà e solitudine a 73 anni di Laura Antonelli, l'attrice cinematografica di origine istriana che negli anni '70 ebbe grandi successi di pubblico (meno di critica, nonostante i film girati anche con registi come Luchino Visconti, Ettore Scola, Giuseppe Patroni Griffi, Mauro Bolognini, Tonino Cervi) e per molti italiani di allora (oggi i canoni di bellezza sono sicuramente cambiati!) ha incarnato l'ideale della donna fatalmente femminile, materna e sensuale nello stesso tempo: una vera icona sexy per molti maschi di allora e d'ogni età. È stata ritrovata dalla sua colf riversa al suolo, in una calda mattina piena di sole, nel suo modesto appartamento di Ladispoli, una piccola località sul litorale romano. Abitazione della quale grazie ai servizi sociali del Comune, come ha dichiarato il sindaco in tivù, l'attrice aveva venduto la nuda proprietà per ricavarne una sorta di vitalizio mensile che le permettesse di integrare la modestissima pensione di cui era titolare e che non le bastava certo per mantenersi dignitosamente.
Da molti anni, cioè da quando la sua bellezza aveva cominciato a sfumare e i suoi film avevano cominciato a non avere più successo  viveva appartata, desiderosa solo di farsi dimenticare, di annientare quel mito del quale per anni aveva involontariamente alimentato l'esistenza.
Adesso si dice che ai tempi dei maggiori successi fosse una donna molto timida, malinconica, vulnerabile e influenzabile. E che si fosse ritrovata a fare l'attrice di successo malgrado i propri limiti di carattere psicologico.
«Forse non ero tagliata per fare l'attrice» aveva dichiarato infatti tempo fa. «non ero preparata ad affrontare quella carriera, il successo, la popolarità, quell'ambiente, con le illusioni e le delusioni. Sono sempre stata una persona semplice, timida».
L'attore Lino Banfi, che aveva girato con lei alcuni film e aveva mantenuto con lei un flebile legame d'amicizia per l'inaccessibilità della Antonelli, ora afferma che a quei tempi molte persone dell'ambiente cinematografico si sono approfittati di lei e le hanno letteralmente sottratto, forse senza che lei battesse ciglio o forse per generosità sua, non sappiamo, soldi e gioielli, depredandola letteralmente.
Inoltre l'attrice aveva avuto una storia sentimentale molto passionale, ma burrascosa, con l'attore francese di origine italiana Jean-Paul Belmondo, che poi aveva interrotto bruscamente rimanendo sola. Così, delusa e ferita dalla cattiveria e dal cinismo di quell'ambiente e dalla triste fine di quel legame sentimentale, aveva voluto isolarsi scoprendo la spiritualità e accostandosi (o riaccostandosi, non sappiamo esattamente) alla fede cristiana, il nuovo ideale e scopo della sua vita. Questioni di droga, dopo anni di estenuante e angosciosa attesa del giudizio in tribunale risoltisi per fortuna senza un'incriminazione, e un disastroso intervento estetico che forse per un'allergia le aveva deturpato per sempre il volto, avevano rappresentate per lei altrettante prove durissime, dalle quali non si era più ripresa. Dopo aver venduto la sua bellissima villa vicino a Roma, si era rifugiata nell'appartamento di Ladispoli, dove non riceveva nessuno e viveva dedita alla preghiera, forse in una sorta di semi-delirio religioso dal quale rifiutava ostinatamente di liberarsi, preferendo vivere in questo precario e preoccupante stato forse per difendersi dai ricordi e dai rimpianti. E qui veniamo al punto.
Certo, dispiace molto che l'attrice sia vissuta in questo modo per anni, ma forse il suo comportamento può offrire lo spunto per una riflessione. All'apparenza, si potrebbe dire che è stata non solo una donna che da sempre ha avuto nel suo carattere sfumature depressive, che hanno accentuato certe difficoltà psicologiche, ma che è rimasta anche vittima (suo malgrado e forse anche in gran parte per colpa dell'ambiente che era costretta a frequentare) del suo mito. Che, nonostante i suoi sforzi, non è riuscita a distruggere dentro di sé. È rimasta, in pratica, legata al suo passato, alle difficili prove della sua vita non sapendo reagire e vivere nel presente, abituandosi all'idea (cosa non facile per nessuno di noi, anche al più forte psicologicamente, a volte) che tutto è transitorio, tutto effimero, e in modo esponenziale nel mondo del grande schermo.
Così ha cercato nella fede forse un sostegno, un rifugio, come l'ha cercato in passato nella droga. Incapace di dominare la propria mente, preda del rancore e probabilmente anche del pentimento per essere stata indotta, per debolezza o altre ragioni, a svolgere un'attività artistica che non condivideva completamente, per tutti questi anni deve aver vissuto in bilico tra equilibrio e follia, in una ricerca di una via d'uscita che aveva individuato in un'adesione forse un po' ossessiva alla religione.
Non è assolutamente un giudizio su di lei, il mio, ma solo una constatazione di come molte volte ci portiamo addosso pesi insopportabili che si riferiscono a fatti avvenuti in passato e dei quali non riusciamo a disfarci, per vivere finalmente nel momento presente e apprezzando ogni piccola cosa o situazione della nostra vita come fosse qualche cosa di miracoloso, in confronto alla quale ogni fatto doloroso, spiacevole del passato impallidisce e scompare.
Forse la sua vita le è sembrata tutta un madornale errore, ma anziché liberarsi del passato forse ha continuato a sentitrsi in colpa per aver fatto determinate scelte nel campo professionale e privato piuttosto che altre. Ma, come sappiamo, gli errori sono solo lezioni, non c'è niente di irrimediabile se si è pronti a vivere la vita così come si presenta momento per momento. Invece, rimanendo aggrappati ostinatamente a un sogno inconsistente, a volte, come nel caso della Antonelli, rischiamo di andare incontro all'autodistruzione.



NB: per un motivo di umana pietà mi rifiuto di riportare qui una delle foto recenti di Laura Antonelli in cui appare triste e imbruttita. Qualunque giornalista sarebbe tentato di farlo, ma non mi va di giocare al gioco sadico, e in fondo auto-consolatorio, di chi punta sul voler enfatizzare sempre il “prima” e “dopo” di un personaggio pubblico, tipico di certa stampa popolare (di cui anch'io, lo ammetto, un tempo ho fatto parte!)

mercoledì 24 giugno 2015

LA LUMINOSA, STRAORDINARIA STORIA DEL FIORE DI LOTO



Il fiore di loto è bellissimo, ma la sua esistenza non è così facile e piena di bellezza come si potrebbe immaginare.
A differenza di tutti gli altri fiori, infatti, quando comincia a germogliare si trova sotto l'acqua sporca di laghi o piccoli stagni, circondato da fango e melma e tormentato da pesci e insetti.
Nonostante queste condizioni, il fiore di loto si fa forza e, crescendo, sale verso la superficie dell'acqua. È ancora solo un gambo con alcune foglie e un piccolo baccello.
Col tempo lo stelo continua ad allungarsi e il baccello lentamente emerge dall'acquitrino. È allora che il loto comincia ad aprirsi, petalo dopo petalo, nell'aria pulita e nel sole. A questo punto il fiore di loto è pronto per appagare gli occhi di tutto il mondo.
Nonostante sia nato in acque torbide, scure, dove la speranza di una vita bella sembra lontana, il loto cresce, supera le avversità e, ironia della sorte, quella stessa acqua sporca che lo ha visto germogliare si pulisce man mano che esso emerge.
Quando il loto si apre, non una macchia di fango o sporcizia rimane esternamente. All'interno poi non vi è traccia dell'acqua di provenienza. È puro, luminoso e bello.
Nel Buddhismo il bocciolo del loto simboleggia il risveglio, la crescita spirituale e l'illuminazione. Nonostante il fiore di loto emerga dall'acqua sporca, rappresenta comunque la purezza del corpo, della parola e della mente.
Può essere concepito come una mente risvegliata, che cresce naturalmente verso il calore e la luce della verità, dell'amore e della compassione. Può apparire fragile, ma è flessibile e resistente, saldamente ancorato sotto la superficie dell'acqua.
Non c'è bisogno di essere buddhisti per capire che tutti siamo come il fiore di loto. Molti di noi vivono in acque torbide e pensano che non potranno mai arrivare  in “superficie” per fiorire. Molti altri sono più vicini, sono solo germogli pronti e desiderosi di sentire il sole della vita sulla pelle. Non importa in quale fase della vita ci si trovi, si può sempre guardare il loto e vedere se stessi nella sua storia.
Le circostanze della vita non sempre sono ideali, ma il loto non smette mai di risalire attraverso le acque dell'avversità, di aprire i suoi petali e fiorire sotto il sole.
Per crescere e ottenere la saggezza, prima è necessario superare il fango, gli ostacoli della vita e la sua sofferenza, la tristezza, la perdita e la malattia.
Per ottenere più saggezza, gentilezza e compassione, pensiamo di crescere come un fiore di loto e di schiudere i petali, uno per uno.

(testo tratto dal sito internet dell'Istituto Beck - Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale di Roma)

martedì 23 giugno 2015

LE ENERGIE SOTTILI CHE DIRIGONO LA NOSTRA VITA


Mi scrive Sofia L. da Catania: «Da anni sono molto interessata all'esoterismo in genere, a tutto ciò che è mistero, spirituale. E molte volte, durante i corsi che ho frequentato qua e là per l'Italia e nei tanti libri che ho letto, ho ascoltato e letto di certe teorie sull'energia vibrazionale più o meno alta che emana da ciascuno di noi, capace o no di attirare persone, situazioni, cose positive o negative. La cosa mi ha sempre affascinato e devo dire che nel mio piccolo qualche volta credo di aver sperimentato la validità di questa teoria: nei momenti in cui mi sentivo meglio con me stessa, più ottimista, più “carica”, qualche volta davvero ho avuto esperienze positive che in qualche caso mi hanno perfino sorpresa; al contrario, nei momenti di buio, di malinconia o addirittura di depressione, e soprattutto in certe giornate davvero “no”, ho assistito a una sfilza di intoppi, inconvenienti, battibecchi non cercati né voluti con persone che inspiegabilmente ce l'avevano con me. Può essere proprio così o è soltanto una mia impressione? Tu che cosa ne pensi?»

Penso che molti di noi abbiano sperimentato prima o poi ciò che riferisce Sofia. Io stesso posso confermare diverse esperienze analoghe nella mia vita. E sono convinto che ci sia del vero in tutto questo. Ricordo di aver letto, già molto tempo fa, nel bellissimo e illuminante libretto La Forza dell'eccezionale Stuart Wilde, edito in Italia da Macro Edizioni, frasi come:
“L'energia ha un modo molto spontaneo di esprimersi. Così è difficile dire con sicurezza che una persona sperimenterà un determinato avvenimento. Ma possiamo dire che avvenimenti compresi in una determinata fascia energetica diventano molto probabili nella vita di chi sta mantenendo un livello energetico compatibile con quella fascia.
La tua vita segue l'andamento dell'energia. Niente di più, niente di meno. Una volta che riesci ad amarti totalmente e a rispettare la Forza che è dentro di te la tua gamma di energia si muoverà sempre più velocemente. Se supererà, diciamo, i 30 mila cicli per microsecondo, la possibilità che tu rimanga coinvolto in qualsiasi tipo di incidente diverrà molto remota. La tua energia entrerà in una dimensione di grande positività. Arriverai all'incrocio dieci minuti più tardi, e non vi sarà nessun incidente, o le cose andranno in modo che tu prenda una strada diversa. Ciò perché la tua intrinseca spiritualità, o valore vibrazionale, ti terrà lontano dagli eventi negativi.
Potresti domandarti come mai sia così. È perché l'energia cerca sempre il livello che le corrisponde. Non puoi avere due energie dissimili che vengano a trovarsi l'una accanto all'altra…
Ognuno segue la strada che è adatta a lui, e noi tutti dobbiamo sperimentare appieno i livelli di energia più lenti, prima di potere giungere al di là di essi. Alla fine, tutti arrivano a capire come funziona davvero l'energia, ma fortunatamente nessuno ti chiede di stare lì e di aspettare gli altri”.
Ma le energie non funzionano solo al livello della materia. Anche le entità spirituali sono energia e c'è una corrispondenza tra loro e i nostri corpi più sottili.
Ecco che cosa dice Dede Riva nel suo Meditazioni quotidiane - Pensieri di trasformazioni, Edizioni Mediterranee (che ho citato altre volte perché ricco di temi profondi e arricchenti), alla meditazione del 21 giugno intitolata Manutenzione spirituale:
“Più l'uomo si unisce al suo Sé, più si unisce a Dio e più viene preso in considerazione e stimolato dalle forze spirituali.
Lo stesso succede in una grande azienda con un macchinario particolarmente importante per il processo di produzione; viene fatto oggetto di cure ed attenzioni particolari, viene avvicinato solo da tecnici altamente specializzati, viene sottoposto regolarmente a revisioni e controlli.
Quando cominci ad adottare il tuo Sé come punto di riferimento fisso e ad allineare su di esso tutte le altre dimensioni, la tua vibrazione energetica incrementa la sua velocità e la nuova frequenza fa da segnale di richiamo nei confronti delle entità spirituali che stanno cercando collaboratori per la costruzione del Nuovo Tempo. Esse quindi ti dedicheranno molte attenzioni, ti daranno suggerimenti – mai comandi, però – e “pretenderanno” qualcosa da te: che tu ti assuma la responsabilità della tua evoluzione – o della tua vita, se preferisci, ma è la stessa cosa.
E poiché evoluzione è andare avanti – il termine viene dal latino e-volvere che significa srotolare – rientra in queste responsabilità quella di non fare passi indietro e di non arrestare il processo dinamico. Resistere ad una legge vitale, qual è appunto quella dell'evoluzione, comporta sempre sofferenza.
Hai quindi un compito delicato, quello di essere sempre attento in modo da armonizzare questo processo con i tuoi ritmi di crescita, evitando forzature ed accelerazioni controproducenti. Hai al tuo fianco però chi ti può dare i migliori consigli, il tuo Sé che, essendo la cerniera che ti collega al mondo dello spirito, conosce le tue esigenze e caratteristiche, così come quelle della dimensione materiale di cui fai parte.
Forte del suo appoggio, accogli in te le forze celesti: lascia che compiano tutte le revisioni necessarie, che purifichino ogni tua cellula, che vi infondano luce. Fai che si trovino così bene in tua compagnia da decidere di non andarsene più via”.

domenica 8 marzo 2015

BASTA CON L'ATTACCAMENTO ALLE OPINIONI, BASTA CON LE UCCISIONI!


“Consapevole della sofferenza causata dalla distruzione della vita, m'impegno a coltivare la visione profonda dell’inter-essere e della compassione e a imparare modi di proteggere la vita di persone, animali, piante e minerali. Sono determinato(a) a non uccidere, a non lasciare che altri uccidano e a non dare il mio sostegno ad alcun atto di uccisione nel mondo, nei miei pensieri o nel mio modo di vivere. Riconoscendo che le azioni dannose nascono dalla rabbia, dalla paura, dall’avidità e dall’intolleranza, le quali a loro volta derivano da un modo di pensare dualistico e discriminante, coltiverò l’apertura, la non discriminazione e il non attaccamento alle opinioni per trasformare la violenza, il fanatismo e il dogmatismo in me stesso(a) e nel mondo”.

(Primo dei cinque Addestramenti alla Consapevolezza, tradizionali precetti sviluppati al tempo del Buddha come fondamento di pratica dell'intera comunità di pratica, che includeva e tuttora include monaci e laici, nella riformulazione del grande maestro zen di scuola vietnamita Thich Nhat Hanh)


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“E il Buddha rispose: «Non siate impazienti di credere a una cosa anche se tutti la ripetono, o se è scritta nei testi sacri o, ancora, affermata da un maestro riverito dal popolo. Accettate solo ciò che si accorda con il vostro giudizio, ciò che i saggi e i virtuosi condividono, ciò che reca realmente frutto e felicità. Abbandonate tutto quanto non si accorda con il vostro giudizio, quanto i saggi e i virtuosi non condividono, quanto non reca realmente frutto e felicità… Siete in grado di giudicare da soli ciò che va accettato e ciò che va rifiutato”.

(Da Vita di Siddharta il Buddha di Thic Nhat Hanh, pag, 290)






8 MARZO: CELEBRIAMO IL FEMMINILE CHE C'È IN NOI


Che tu sia uomo o donna, c'è in te una parte femminile ed una maschile, così come c'è in te un lato destro e uno sinistro.
Il tuo femminile è la sfera da cui emergono le tue intuizioni, è la tua facoltà immaginativa, il tuo potere creativo, la tua capacità di sognare, di comprendere senza giudicare, di commuoverti. È il tuo stare bene con te stesso, il tuo silenzio, il tuo sorriso, il tuo essere poeta, il tuo riflettere su te stesso, la tua capacità di analisi, il tuo sentirti in contatto con la natura, i tuoi ritmi pacati, la tua voglia di dare e provare tenerezza, la tua tolleranza, la tua pazienza, il tuo buon senso, la tua cortesia, il tuo desiderio di donare, la tua capacità d'amare. Tutto questo e molto altro.
Tutte queste splendide qualità possono emergere ed arrivare fino dentro la realtà materiale se si integrano con la polarità maschile, l'azione, il venire all'esterno.
Oggi, senza indulgere a manifestazioni esteriori smaccate, legate ad una moda che fa della festa della donna un'occasione commerciale come tante, prendi coscienza nel tuo intimo di questa parte di te, onorala, lascia che si esprima con te stesso e con gli altri liberamente, permettile di fluire in te e fuori di te secondo la tua natura.
E non temere, tutto ciò non creerà alcuna dissociazione in te; al contrario, ti consentirà di prendere coscienza e di integrare potenzialità fino ad ora sconosciute o mantenute allo stato di latenza.
Questo processo è molto importante per te, ma anche per tutto il pianeta.
La Terra deve nascere a nuova vita per entrare nel Nuovo Tempo e tu sai che ogni nascita deve puntare su tutte le energie della madre.
Tu, insieme ad ogni altro essere umano di questo pianeta, sei la madre della Nuova Terra.
Preparati al parto con grande impegno, da una parte, e naturalezza, dall'altra, per accogliere la Nuova Terra con tutto l'amore e la gioia che si addice ad ogni nascita.

Da Meditazioni quotidiane - Pensieri di trasformazione di Dede Riva, Edizioni Mediterranee, Roma 1955 (8 Marzo, Il femminile).

sabato 7 marzo 2015

DISTRUGGERE QUESTE OPERE D'ARTE? IMPOSSIBILE, SONO IMMORTALI!: ECCO LA PROVA



Il sito archeologico di Nimrud (la biblica Calah), a sud di Mosul, capitale irachena dell'autoproclamato califfato, raso al suolo con i bulldozer. Pochi giorni prima, statue e bassorilievi antichi, alcuni dei quali risalenti a più di tremila anni fa, abbattuti a colpi di piccone da jihadisti che poi li hanno distrutti usando il martello penumatico. Sono questi gli ultimi capitoli (per ora) di una lunga serie di distruzioni operate dai miliziani dello stato islamico, che in passato hanno già fatto saltare in aria luoghi di culto, dato alle fiamme libri sottratti dalle biblioteche e distrutto parte della cinta muraria di Ninive, l'antica capitale assira alla periferia dell'odierna Mosul.  Penso ci si debba anche astenere dal dare un giudizio morale su queste azioni dei miliziani dello stato islamico, e sottolineare piuttosto che ciò che resta impresso nella visione dei filmati propagantistici diffusi dagli estremisti islamici recentemente (bisognerebbe evitare di diffonderli, per non sostenerli involontariamente nella loro campagna terroristica!) è solo una furia piena d'odio che, osservata alla luce di una visione profonda, fa rabbrividire perché trasmette la netta sensazione di trovarsi sull'orlo di un orrendo baratro fatto di inconsapevolezza malata, di un delirio egoico in cui tutto ciò che di peggiore esiste nella mente e nello spirito umano si mescola, giustificato da credenze, superstizioni, fanatisimi pseudo-religiosi. Che sono tra l'altro il peggiore, più spregevole insulto a Dio. Inutile indignarsi, inutile gridare ai crimini di guerra, inutile chiedere punizioni e vendetta. Faremmo il gioco di questi fanatici che, spinti da un delirio di violenza per la quale prima o poi verranno inevitabilmente puniti dalla Vita stessa, vogliono solo terrorizzare il mondo dando sfogo alla loro malattia (nel senso di inconsapevolezza) egoica per annientare tutto ciò che Dio, attraverso l'ingegno, l'intelligenza, l'operosità, le fatiche umane, ha costruito in secoli per testimoniare la grandezza propria e quella dell'uomo stesso, entità che Lui stesso ha creato a sua immagine e somiglianza. Quindi violare l'uomo, le sue creazioni, le sue testimonianze lungo il corso dei secoli e della sua lunga e faticosa crescita spirituale e intellettuale, è violare Dio, disprezzare l'evoluzione che Lui stesso ha voluto impulsare su questa Terra, per i disegni espansivi della Coscienza Universale. Questi estremisti condannano l'idolatria dei popoli pre-islamici, di cui quelle antiche, meravigiose opere d'arte sarebbero il simbolo, ma hanno coscienza dell'idolatria che perpetrano ogni giorno, in ogni istante della loro giornata nei confonti delle idee diaboliche che coltivano e nutrono ai danni dell'umanità, cioè di loro stessi e di Dio? «Dio, perdonali perché non sanno quello che fanno» verrebbe da dire, citando le parole di Gesù sulla Croce di fronte ai suoi carnefici, oppure «Anche questo passerà», o ancora «Tutto passa, tutto si distrugge, tutto si dimentica». Verrà il giorno, infatti, che anche tutto ciò per cui oggi si affannano tanto e con tanta, estrema crudeltà, verrà distrutto e diventerà un pugno di polvere. È la legge che vige su questa Terra, alla quale nessuno e niente si può sottrarre. Ma la loro mente estremamente egoica non può afferrare questa semplice, ineluttabile verità. Il Regno di Dio infatti è al di là della mente e delle idee, è anzi nella non-mente, nel silenzio profondo che nasce dalla Coscienza e che ci collega alle vere leggi divine, non quelle create dalla imperfetta mente umana.  Ma, poi, si illudono che l'umanità possa dimenticare queste magnifiche opere d'arte. Invece, assieme al ricordo e all'ammirazione che suscitano, resteranno  le loro foto (in alto, eccone appunto due splendide: le mure di Ninive e il museo archeologico di Nimrud) e forse, almeno delle statue, con le nuove stampanti 3d, sarà anche possibile riprodurre migliaia di copie! Che atroce beffa per il cosidetto califfato!

venerdì 23 gennaio 2015

THIC NHAT HAHN: «I BUDDHISTI NON UCCIDONO LE PERSONE SOLO PERCHÉ NON ACCETTANO LA LORO RELIGIONE»


Sta un po' meglio, riconosce i visi che gli sono familiari, sorride, ma non ha ripreso ancora a parlare. Si spera che nelle prossime settimane, grazie alle cure dei medici dell'ospedale in cui è ricoverato nel sud ovest della Francia vicino al Plum Village dove vive, possa riprendersi completamente dall'embolia cerebrale che l'ha colpito e che ha lasciato per ora conseguenze piuttosto serie sul suo fisico e bisognose di una lunga e difficile riabiltazione. È quello che augurano milioni di persone a Thic Nhat Hanh (88 anni), per amici e seguaci semplicemente Thây, il monaco zen vietnamita che è uno dei più grandi e amati maestri spirituali del nostro tempo. Ho diversi suoi libri nella mia biblioteca e li rileggo spesso perché sono pieni di parole di saggezza e aiutano ad aprire la mente e a scoprire la vera religiosità, quella che non si fonda su dogmi e fanatismi, ma al contrario invita a fare esperienza personale della vita, dei suoi valori e della realtà più profonda. Un tema che è molto attuale in questi tempi di autentico scontro di civiltà, uno scontro assurdo perché basato su idee sbagliate ed evanescenti come questo mondo, eppure così forti da incatenare a sé le menti di milioni di persone, pronte così a scontrarsi con i fratelli umani e ucciderli in nome di un'autentica follia. Ecco che cosa scrive a questo proposito in un passo davvero profetico di un suo libro intitolato Il segreto della pace - Trasformare la paura, conoscere la libertà, edito negli Oscar Mondadori nel 2003:

Il buddhismo non concepisce idee o pregiudizi per i quali uccidere. Noi non uccidiamo le persone solo perché non accettano la nostra religione. Gli insegnamenti del Buddha sono mezzi abili, non la verità assoluta; il Buddha ha detto: «I miei insegnamenti sono il dito che indica la luna. Non lasciatevi intrappolare dall'idea che il dito sia la luna. Quel dito serve solo a farvi vedere la luna».
Il non-sé e l'impermanenza sono mezzi per comprendere la realtà, non sono la realtà stessa. Sono strumenti, non la verità suprema. L'impermanenza non è una dottrina per cui potreste sentire di dover morire. Non metterete mai in prigione qualcuno solo perché vi contraddice: non state usando un concetto contro un altro concetto. Questi mezzi servono a condurci alla verità suprema. Il buddhismo è un sentiero geniale e capace di dare grade aiuto, non è una via di fanatismo. I buddhisti non potranno mai fare una guerra, spargere sangue e uccidere migliaia di persone in nome della religione.
Poiché l'impermanenza contiene in sé la natura del nirvana, sei al sicuro dal rischio di restare prigioniero di un'idea: studiando e praticando questo insegnamento ti liberi di nozioni e concetti, compresi quelli di permanenza e impermanenza. Per questa strada si arriva alla libertà dalla sofferenza e dalla paura. Ecco il nirvana, il Regno di Dio.



mercoledì 14 gennaio 2015

PORGERE L'ALTRA GUANCIA NON È SEGNO DI VILTÀ E SOTTOMISSIONE, MA ANZI DI FORZA




L'altra sera, assistendo a una trasmissione televisiva che trattava l'argomento delle esecrabili stragi parigine della scorsa settimana, ho sentito un sedicente imam londinese sbraitare con parole piene di livore contro l'Occidente e i cristiani, annunciando che i musulmani invaderanno l'Europa e conquisteranno Roma, attuando l'islamizzazione dei nostri Paesi. Vedremo. Però mi hanno colpito soprattutto l'odio e la violenza che il suo viso e le sue parole esprimevano e soprattutto un'incredibie  frase sulla differenza tra musulmani e cristiani. Ha detto più o meno così: “Noi islamici ci difendiamo, non siamo come i cristiani che porgono l'altra guancia”. Sottinteso: i cristiani sono dei vigliacchi che non sanno reagire. Mi meraviglio che un imam, che dovrebbe essere (proprio come un vescovo o un cardinale o un rabbino, naturalmente) un realizzato o quasi, o come dicono i buddhisti un risvegliato, possa dire parole di tanta inconsapevolezza. Penso alle parole di Gesù sulla croce, quando disse: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. A proposito di quell'imam verrebbe da dire: “Dio, perdonalo perché non sa quello che dice”. Perché non ha capito e ignora le vere leggi divine. Porgere l'altra guancia (leggi perdonare) non è un gesto di viltà, paura, rassegnazione. Al contrario. Intanto l'invito di Gesù a porgere l'altra guancia è chiaramente una metafora, che si può tradurre più o meno così: se vuoi vincere lascia perdere. Non vuole dire sottomettersi in modo vile. Perché al contrario reagire, vendicarsi, odiare vuol dire dare pieno potere su di te alla persona che eventualmente ti ha offeso, umiliarti, piegarti senza consapevolezza alla tua paura e al tuo istinto incontrollato, e rinunciare alla libertà di agire liberamente. Diventi come un robot che è azionato dalla persona della quale ti vuoi vendicare e agisce al suo comando. Insomma, sei una vittima: di quella persona e dei tuoi impulsi che non sai neppure tenere sotto controllo. Un vero disastro, una sconfitta, una vergogna. Lasciar perdere (quando non è in pericolo la nostra vita, naturalmente) invece vuol dire essere vittorioso da tutti i punti di vista. Vuol dire essere padrone di te stesso, pienamente consapevole, e capace di vedere l'altro per quello che è: una persona come te, che può sbagliare per ignoranza, arroganza, debolezza, paura e tanti altri problemi dovuti magari a una vita vissuta tra tante difficoltà o a una situazione difficile che non riesce a risolvere. Vuole dire, insomma, mettere da parte l'ego e allinearasi con il Sé, la dimensione più universale (la più saggia, la più autentica) che tutti noi conserviamo nel nostro intimo, dietro i pensieri, gli impulsi, i desideri, le sensazioni che assordano senza sosta la nostra mente. Già, è proprio così. Chi è inconsapevole equivoca sempre su questo punto e scambia le parole di Gesù per buonismo, dabbenaggine, viltà e così via, e la sua figura come quella di un profeta troppo arrendevole, mentre è tutto il contrario perché il suo atteggiamento è quello luminoso e vittorioso che ricollega all'Essere, l'unico luogo di vero potere.
Sentiamo che cosa dice per esempio in proposito anche Eckart Tolle nel suo bellissimo libro Come mettere in pratica il potere di adesso, Armenia Editore:
“Quando venite coinvolti in una discussione o in qualche situazione conflittuale forse con il partner oppure con qualcuno vicino a voi, cominciate ad osservare come vi mettete sulla difensiva quando viene attaccata la vostra posizione, oppure sentite la forza della vostra aggressività mentre siete voi ad attaccare la posizione dell'altro.
Osservate come vi afferrate ai vostri punti di vista e alle vostre opinioni. Sentite l'energia mentale-emozionale dietro la vostra necessità di aver ragione e di dimostrare che l'altro sbaglia. Quella è l'energia della vostra mente egoica. La rendete consapevole, riconoscendola e sentendola il più possibile. E finalmente un giorno, nel mezzo di un litigio, all'improvviso vi rendete conto che avete una scelta, e potete decidere di lasciar cadere la vostra reazione, giusto per vedere che cosa accade. Vi siete arresi…
Se d'improvviso vi sentite molto leggeri, lucidi e veramente in pace quello è un segno inconfondibile che vi siete veramente arresi. Allora osservate ciò che accade alla posizione mentale dell'altro quando voi non continuate a dare energia, resistendo. Quando l'identificazione con la posizione mentale è scomparsa, allora comincia la vera comunicazione…
Se si richiede un'azione non reagirete più dalla mente condizionata, ma risponderete alla situazione dalla vostra presenza consapevole. In quello stato, la vostra mente è libera da concetti, includendo il concetto della non violenza. E quindi chi può prevedere cosa farete?
L'ego crede che la vostra forza sta nel resistere, ma la resistenza in realtà vi separa dall'Essere, l'unico luogo di vero potere. La resistenza è debolezza ed è paura mascherata da forza…
Fino a che non c'è l'abbandono, gran parte delle interazioni umane si basano su giochi inconsci di ruoli. Ma nell'abbandono non avete più bisogno delle difese dell'ego e delle false maschere. Divenute molto semplici, molto reali. «Questo è pericoloso», dice l'ego. «Sarete feriti. Diventerete vulnerabili».
Ciò che l'ego non sa, naturalmente, è che solamente attraverso il lasciare andare la resistenza potete scoprire la vostra vera ed essenziale invulnerabilità”.
E per finire, ecco che cosa dice il grandissimo Osho alla parola “Odio” nel suo libro di sentenze L'abc del risveglio, Oscar Mondadori.
“La gente normalmente pensa che l'odio sia l'opposto dell'amore. È sbagliato, assolutamente sbagliato. È la paura l'opposto dell'amore. L'odio è amore a testa in giù, ma non è l'opposto dell'amore. Una persona che odia dimostra semplicemente che ama ancora: l'amore si è inacidito, ma c'è ancora. La paura è il vero opposto, perché indica che tutta l'energia d'amore è scomparsa.
Prima che tu possa odiare qualcuno, devi aver creato quel veleno dentro di te; puoi dare qualcosa a qualcuno soltanto se ce l'hai. Puoi odiare solo se sei pieno di odio ed essere pieni di odio significa essere all'inferno, vuol dire andare a fuoco. Significa che in primo luogo stai facendo del male a te stesso. Prima di ferire qualcuno, devi ferire te stesso. E l'altro potrebbe anche non farsi male – dipenderà da lui – ma una cosa è assolutamente certa: prima che tu possa odiare devi passare attraverso grandi sofferenze e infelicità. L'altro potrebbe non ricevere il tuo odio, potrebbe rifiutarlo. L'altro potrebbe essere un buddha, magari ne riderà semplicemente, potrebbe perdonarti, potrebbe non reagire affatto. Potresti non essere in grado di ferirlo: se non è disposto a reagire e non riesci a scalfirlo, cosa puoi fare? Ti sentirai impotente di fronte a lui.
Ma una cosa è assolutamente certa: se odi qualcuno, prima dovrai aver ferito la tua anima in molti modi, dovrai essere così pieno di veleno da poterlo gettare sugli altri.
L'odio è innaturale. L'amore è salute, l'odio è malattia. E come la malattia è innaturale: accade solo quando perdi il contatto con la natura, quando non sei più in armonia con l'esistenza, con il tuo essere, con il tuo nucleo più intimo. Allora sei malato, psicologicamente e spiritualmente malato. L'odio è soltanto un simbolo di malattia e l'amore un simbolo di salute, di interezza, di sacralità”.
Può bastare? E di fronte all'orrore di questi giorni, ripetiamo semplicemente: “Anche questo passerà”.

martedì 13 gennaio 2015

LE RELIGIONI, VIE DIFFERENTI CHE PORTANO ALLO STESSO DIO SECONDO SRI RAMAKRISHNA


«Ho praticato tutte le religioni: ho trovato che è il medesimo Dio cui tutti si dirigono da vie differenti».
Così disse Sri Ramakrishna (1836-1886). Di umile origine, asceta serafico classico, esempio di amore  universale, generò un'ondata di rinascita spirituale dell'India e le folle accorsero a lui in cerca di spiritualità e di illuminazione.
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venerdì 2 gennaio 2015

PER FARE SÌ CHE LA MENTE DIVENTI SEMPRE QUIETA, COME UN LIMPIDO STAGNO NELLA FORESTA

Cercate di essere consapevoli, e lasciate che le cose seguano il loro corso naturale. Allora la mente diventerà quieta in ogni circostanza, come un limpido stagno nella foresta. Animali di ogni specie, meravigliosi e rari, verranno a bere allo stagno, e vedrete con chiarezza la natura di tutte le cose. Vedrete molte cose insolite e meravigliose andare e venire, ma voi sarete lì, quieti. Questa è la felicità del Buddha”.


Parole del Venerabile Achaan Chah, maestro buddhista thailandese della tradizione “della foresta”, deceduto il 16 gennaio 1992.