mercoledì 24 dicembre 2014

NEL NOSTRO CAMMINO DOBBIAMO ESSERE LUCE CHE ILLUMINA LE TENEBRE



25 Dicembre. Luce nelle tenebre.

"In principio era il Verbo
e il Verbo era presso Dio,
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio.
Tutto è stato fatto per mezzo di lui, 
e senza di lui
neppure una delle cose create è stata fatta. 
In lui era la vita,
e la vita era la luce degli uomini. 
E la luce risplende tra le tenebre
e le tenebre non l'hanno mai spenta".

                                                        (Vangelo di Giovanni, I, 1-4)

"E la luce risplende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno mai spenta". Se non riesci a vedere la luce, guarda la tenebra e ad un certo punto la luce emergerà dalla tenebra stessa; se non riesci a far risuonare in te la vibrazione del Verbo, taci e dal silenzio nascerà il Suono divino.
Non hai bisogno di agitarti, di ricercare affannosamente Luce e Parola: entrambe sono già dentro di te. Devi solo lasciarle nascere – o rinascere – manifestarsi oggi, perché "a quanti lo accolsero, a quelli che credono nel suo nome, diede il potere di diventare figlio di Dio" (Giov. 1).

Dice Tagore: "Accenditi come lampada: nel tuo cammino dovrai essere luce".
(da Massime per una vita armoniosa di Rabin Dranath Tagore, Piccola Biblioteca Guanda)




SEI PRONTO PER IL MIRACOLO DELLA TUA VITA?


Fuori la temperatura è fredda, le tenebre hanno ancora il sopravvento sulla luce, ma un grande Sole sta per nascere; una grande Forza che rappresenta l'origine e l'unificazione di ogni forza creativa. Una Forza che è simbolo di consapevolezza, di realizzazione, di illuminazione.
Nel Sole sta il centro assoluto, il centro del ciclone che, malgrado il costante movimento alla periferia, rimane calmo ed immutato. Questo Sole è il seme interiore, il testimone che rimane intoccato dagli alti e bassi della dualità che incessantemente si agita tra gioia e tristezza, tra paura e speranza, tra aspirazione e disperazione.
Se da questo punto centrale osservi la periferia della tua esistenza, tutto appare chiaro, tutto appare illuminato, anche le situazioni che prima ti sembravano inspiegabili e difficili, perché sei in grado di ricondurle alla loro origine vera.
La Vita ha per te nelle mani regali inattesi e sorprendenti opportunità. Ciò che tu ora devi avere sono occhi attenti così da poterli percepire. Sei di fronte alla possibilità di una grande trasformazione ed hai tutte le potenzialità per realizzarla. Se nella tua esistenza ancora non accadono miracoli, significa che qualcosa non sta andando per il verso giusto!
Ripeti adesso, dolcemente, lasciando che la vibrazione delle parole raggiunga il tuo cuore ed ogni cellula dei tuoi corpi:
“Ora sono pronto per il miracolo della mia vita”.

(da Meditazioni QuotidianePensieri di trasformazione di Dede Riva, Edizioni Mediterranee, meditazione del 23 Dicembre)

SOLSTIZIO D'INVERNO, FESTA DEL “SOL INVICTUS”

Qui sopra, un'immagine molto ravvicinata
della stella del nostro sistema. In basso,
un disco in lega metallica del III secolo d. C.
che riproduce il Sol Invictus romano (British Museum).  

21 Dicembre. Oggi è il giorno del solstizio d'inverno.
È un momento grandemente legato all'elemento terra, il cui simbolo può essere considerato il seme interrato. Questo piccolo seme, al buio e al freddo, assolutamente immobile ed apparentemente senza vita, è dotato in questo preciso periodo dell'anno della sua massima energia potenziale. In questa minuscola forma compatta esiste, in fieri, una pianta articolata in radici, tronco, rami, foglie e fiori, ma in questo momento è tutto fermo, come sospeso, in totale assenza di energia cinetica.
E per l'essere umano, abituato all'incessante divenire della vita, viene immediato collegare questo stato all'immobilità della materia, alla fissità della morte. Ma se sei consapevole dello sviluppo ciclico della natura e della legge che lo governa, sai che questo è un punto meravigliosamente vitale perché è un grande punto di svolta; in questo preciso momento tutto viene ribaltato, l'energia da potenziale si trasforma in dinamica, le tenebre cominciano ad arretrare perché il Sol Invictus, mai vinto, torna ad illuminare e
riscaldare la Terra. È ciò che i Latini, ma anche altri popoli prima di loro, celebravano con una festa particolare, i Saturnali – Saturno infatti è il pianeta della terra, della materia, della fissità, dell'immobilismo – durante la quale padroni e schiavi invertivano i ruoli.
Inverti anche tu qualcosa in te stesso; lascia alle spalle il ruolo di persona indaffarata a comprare regali, disattenta a quello che sta succedendo su piani più sottili, e assumi quello della persona che sente e vive intensamente nella propria interiorità tutto il fermento di questa straordinaria rinascita.

(da Meditazioni quotidiane – Pensieri di trasformazione di Dede Riva, Edizioni Mediterranee)


 

venerdì 12 dicembre 2014

LA PREGHIERA DEI SETTE CHAKRAS



Grazie Signore dei miei piedi, che non conoscono ostacoli e mi portano fedeli attraverso le vite.

Grazie Signore del ventre, tempio della vita che, nascendo, potrà continuare la catena.

Grazie dell'ego che, correttamente aperto, lascia che io, amando e rispettando me stesso, onori la tua immagine in me.

Grazie Signore che mi hai dato un grande cuore capace di amare e accettare ogni creatura vivente.

Grazie della voce che mi fa esprimere la gioia immensa di aver compreso che non so nulla.

Grazie del discernimento, in virtù del quale so che non esiste nulla di mio se non la mia coscienza.

E infine grazie, mio Dio, della corona che porto in testa, attraverso la quale Tu, eterna fiamma, scendi e accompagni la mia anima verso la luce.


(Preghiera di Alessandra D'Elia)  

giovedì 4 dicembre 2014

LA COLLERA: CRUDELMENTE DOLCE, MA VELENOSA. MEGLIO PERDONARE



Uno dei miei post più letti è stato quello sulla collera e il modo di neutralizzarla rimanendo un testimone, vale a dire vedendola sorgere, svilupparsi e infine estinguersi. Del resto, questo è un argomento scottante perché tutti possiamo constatare ogni giorno come la crisi finanziaria dilagante in tutta Europa stia esasperando sempre più le persone e scateni sempre più frequentemente crisi di aggressività e di odio davvero paurose. Tuttavia ci rendiamo conto che, agendo sull'onda dell'impulso, finiamo con  il compiere azioni riprovevoli e con il guastare irreparabilmente i rapporti interpersonali, senza peraltro cambiare la realtà e per di più facendo del male soprattutto a noi stessi. Per questo mi piace tornare sull'argomento citando un passo di un bellissimo libro dell'americana Sharon Salzberg pubblicato molto tempo fa, nel 1995, da Ubaldini Editore. Ecco che cosa dice in proposito questa autrice fedele ai principi del buddhismo e insegnante di meditazione all'Insight Meditation Society di Barre, in Massachussets:

La collera sembra una cosa solida. Ma se osserviamo attentamente, scopriamo che di fatto non ha fondamento. In realtà, è semplicemente una risposta condizionata che nasce e muore. È fondamentale per noi vedere che, quando ci identifichiamo con tali stati passeggeri come se fossero stabili e come se fossero la nostra vera identità, lasciamo che essi ci controllino e siamo costretti a compiere azioni che causano dolore a noi stessi e agli altri. La nostra apertura richiede di riposare su una base di non identificazione. Riconoscere nella mente l'avversione o la collera come un fatto transitorio è molto differente dall'identificarci con essa come se fosse la nostra vera natura e dall'agire su di lei.
La collera è un'emozione molto complessa con numerosi componenti diversi. Si tratta di un fascio di elementi, come il disappunto, la paura, la tristezza, legati assieme. Se le emozioni e i pensieri sono presi come un insieme, la collera appare come una cosa solida; ma se la analizziamo e ne consideriamo i vari aspetti, possiamo comprendere la natura ultima di questa esperienza. Possiamo vedere che la collera è impermanente e che sorge e scompare come un'onda che viene e va, possiamo capire che è insoddisfacente, che non ci offre una gioia durevole e che manca di un “io” che la determini; inoltre, che non sorge in accordo con la nostra volontà, col nostro capriccio o desiderio, ma solo quando sono presenti le condizioni adatte per farla sorgere. Possiamo vedere che non è “nostra”, che non la possediamo, non siamo in grado di controllarne l'inizio; possiamo semplicemente imparare a metterci in rapporto con essa.
Se osserviamo la forza della collera, infatti, possiamo scoprire in essa molti aspetti positivi, poiché non è uno stato passivo e compiacente, ma possiede un'energia incredibile. La collera può spingerci a lasciar andare le definizioni che gli altri hanno dato di noi inappropriatamente, in base ai loro bisogni: ci può insegnare a dire di no. In tal modo la collera è anche al servizio della nostra integrità, poiché può stimolarci ad ascoltare la sua voce, anziché le richieste del mondo esterno. È un modo per porre dei confini e sfidare l'ingiustizia a tutti i livelli. L'ira non prenderà le cose come dati di fatto né le accetterà senza riflessione.
La collera possiede anche la capacità di andare oltre le apparenze, di non fermarsi a un livello superficiale: è molto critica ed esigente, ha il potere di superare ciò che è ovvio per cogliere le cose più nascoste. Questo è il motivo per cui può essere trasformata dalla saggezza, con la quale, per sua natura, ha alcune caratteristiche in comune.
Ciò nonostante, gli aspetti negativi della collera sono tantissimi e superano di gran lunga quelli positivi. Il Buddha l'ha descritta così: “La collera, con la sua fonte velenosa e il suo culmine febbrile, crudelmente dolce, che tu devi eliminare per non piangere più”. È dolce infatti, ma la soddisfazione che ricaviamo da uno scoppio d'ira è molto breve, mentre il dolore dura a lungo e ci debilita.
Secondo la psicologia buddhista, caratteristica dell'ira è lo stato selvaggio. Il suo scopo è bruciare il proprio supporto, come fa il fuoco con la foresta. Ci toglie ogni cosa, ci lascia devastati. Come il fuoco che divampa libero e selvaggio in una foresta, la collera ci lascia molto lontano da dove intendevamo andare. La sua capacità di ingannare è responsabile del nostro perderci in questo modo. Quando ci perdiamo nella colera, non vediamo molte alternative davanti a noi e ci dimeniamo in modo sconsiderato.
La collera e l'avversione si esprimono con atti di ostilità e persecuzione. La mente diviene molto angusta: isola qualcuno o qualcosa, si fissa su di esso, come se avesse i paraocchi, circoscrive quell'esperienza, quella persona o quell'oggetto, come se fosse per sempre immutabile. Tale avversione produce un circolo senza fine di offesa e vendetta. Dal punto di vista politico si esprime nella lotta tra razze, classi sociali, nazioni e con l'odio religioso. La collera può legare insieme le persone con altrettanta forza del desiderio, così che esse si trascinano vicendevolmente, avvinghiate l'un l'altra nel circolo vizioso della vendetta, mai capaci di lasciar andare, di calmarsi. Il commediografo e statista Vaclav Havel ha notato acutamente che la rabbia ha molto in comune col desiderio, poiché è “la fissazione sugli altri e la dipendenza dagli altri; è, di fatto, la delega di una parte della nostra identità a loro… Chi odia desidera fortemente l'oggetto del proprio odio”.
Così la collera non finirà mai se la gente continuerà a mettersi in relazione nello stesso modo. Per esempio, possiamo vedere una persona subire una violenza e poi, spesso, ottenuto a sua volta il potere, comportarsi proprio come il suo carnefice. Qualcuno mi invia una lettera con cui mi accusa e io lo accuso a mia volta.
Come possiamo lasciar andare in una simile situazione? Come possiamo cambiarla? Possiamo concentrare la nostra attenzione più sulla sofferenza della situazione, sia la nostra sofferenza sia quella degli altri, piuttosto che sulla nostra rabbia. Possiamo chiederci con chi siamo realmente arrabbiati, e di solito lo siamo con la rabbia che è nell'altra persona. È quasi come se l'altro fosse uno strumento della rabbia, che si muove attraverso di lui e lo spinge ad agire in modi non appropriati. Non andiamo in collera guardando la bocca di qualcuno che ci grida contro; siamo arrabbiati con la rabbia che lo fa gridare. Se aggiungiamo rabbia alla rabbia, contribuiamo solo ad aumentarla.
C'è una frase molto famosa del Buddha che dice: “L'odio non potrà mai cessare con l'odio; l'odio può cessare solo con l'amore. Questa è una legge eterna”. Possiamo cominciare a trascendere il ciclo dell'avversione quando cessiamo di considerarci personalmente agenti di vendetta. In definitiva, tutti gli esseri sono i possessori del proprio karma. Se qualcuno ha causato del male soffrirà; se noi stessi abbiamo causato del male soffriremo. Come disse il Buddha nel Dhammapada:

Siamo quello che pensiamo.
Tutto ciò che siamo sorge con i nostri pensieri.
Con i nostri pensieri creiamo il mondo.
Parla e agisci con una mente impura
E il dolore ti seguirà
Come la ruota segue il bue che trasporta il carro…
Parla e agisci con mente pura
E la felicità ti seguirà
Come la tua ombra irremovibile.

…Quando la nostra mente è piena di rabbia e odio verso gli altri, di fatto noi siamo quelli che soffrono, invischiati in quello stato mentale. Ma non  così facile accedere a quel luogo dentro di noi che può perdonare e amare. Essere capaci di perdonare, di lasciar andare, significa, in un certo senso morire (in tal caso a morire è l'ego, nota mia). È la capacità di dire: “Io non sono più quella persona e tu non sei più quella persona”. Il perdono ci consente di riconquistare qualche parte di noi (la consapevolezza, il testimone, nota mia) che ci siamo lasciati dietro, schiava di un evento passato. Qualche parte della nostra identità potrebbe anche dover morire in questo lasciar andare, e così potremmo recuperare l'energia trattenuta nel passato…
…Avere uno scopo, come lo sviluppo di un cuore amorevole, è la chiave per vivere una pratica liberatrice.
Se siamo in grado di imparare a vedere e a comprendere tutti gli stati mentali dolorosi di rabbia, paura, angoscia, delusione e colpa come stati di avversione, possiamo imparare a liberarci da essi, ma ciò non significa che non sperimenteremo più avversione; significa piuttosto che potremo purificarla. Possiamo chiaramente vedere l'avversione, comprenderla e imparare a non esserne governati e, avendola vista con chiarezza (questa è la funzione della saggezza - o del Sé, nota mia - ), possiamo anche tenerla nel ampo vasto e foriero di trasformazione dell'accettazione…
Per liberarci da una radicata avversione verso noi stessi e gli altri dobbiamo essere capaci di praticare il perdono. Come l'amore, il perdono ha il potere di far maturare le forze della purezza e di affermare le qualità della pazienza e della compassione. Crea lo spazio per un rinnovamento e una vita libera dall'asservimento al passato.
Quando siamo prigionieri delle nostre azioni passate o delle azioni degli altri, la nostra vita non può essere vissuta pienamente, poiché il risentimento, il dolore ingiustamente subito, lo spiacevole retaggio del passato concorrono a chiudere i nostri cuori e perciò a restringere il nostro mondo…
Perdonare non significa condonare un'azione nociva o negare l'ingiustizia e la sofferenza; è una cosa che non dovrebbe mai essere confusa con la passività verso la violenza o l'abuso. Il perdono è un abbandono interiore della colpa o del risentimento. Quando il perdono cresce può prendere qualsiasi forma esteriore, possiamo cercare di fare ammenda, chiedere giustizia, decidere di farci trattare meglio o semplicemente lasciarci una situazione alle spalle.      

martedì 2 dicembre 2014

I GAY? SERVONO ALL'EVOLUZIONE UMANA PERCHÉ…



Ancora una mail che mi ripropone il dramma di un ragazzo che soffre per la condizione di omosessuale non sempre accettato dagli altri. Damiano, 23 anni, studia e ha amici simpatici all'università cui si è iscritto in una grande città. I compagni di studi hanno capito il suo orientamento sessuale e l'hanno accettato pienamente. Il problema però, è che è nato e vive in un piccolo centro, dove fino a poco tempo fa, per non essere oggetto di battute più o meno pesanti, espresse in modo più o meno esplicito, aveva tenuta nascosta la propria condizione. Recentemente, però, si è confidato con un amico compaesano che credeva leale e sincero il quale però, dopo una prima reazione improntata alla perplessità ma sostanzialmente neutra, ha cominciato a osteggiarlo apertamente. Con lui, racconta Damiano, sono cominciate discussioni infinite sull'omosessualità e questo ragazzo è arrivato a dire che non capisce che cosa ci facciano gli omosessuali nell'ambito della società, che ruolo di utilità possano svolgere, affermando che li considera come cellule cancerose impazzite, quasi delle pericolose metastasi. Inutilmente Damiano ha citato un lungo elenco di artisti, poeti, musicisti, intellettuali del passato e contemporanei che hanno dato alla società contributi eccezionali, opere e idee immortali, ma non è riuscito a far cambiare idea all'amico. La sua mail mi è arrivata tempo fa e sinceramente non sapevo proprio che argomentazioni suggerirgli oltre a quelle da lui già sostenute con l'amico, tranne magari fargli osservare che le differenze esistono in natura a tutti i livelli e dunque sono “previste” e  “volute” da quella che potremmo definire “Vita”, “Coscienza cosmica” o in qualunque altro modo la si voglia chiamare. Ma mi rendevo conto di non potergli suggerire niente di “scientifico”. Nei giorni scorsi mi è arrivata forse la soluzione del mio problema nei suoi confronti. Ecco, caro Damiano, nel ringraziarti di seguire questo modesto (ma spero utile) blog, che cosa hanno detto proprio recentemente, in sostanza, alcuni ricercatori dell'Università di Portsmouth, nel Regno Unito, in uno studio pubblicato dal magazine Archives of Sexual Behavior.

«I pensieri e i comportamenti omosessuali hanno, nel corso dei secoli, contribuito a cementare molte amicizie poi rivelatesi funzionali all'evoluzione della specie e al miglioramento delle sue capacità sociali. L'omosessualità, quindi, è servita  e serve tuttora all'evoluzione della specie umana in quanto rafforza i legami sociali fra le persone dello stesso sesso».

Lo studio si è basato soprattutto sull'omosessualità femminile e sui livelli di progesterone nelle donne, ormone che oltre a essere molto importante durante il ciclo mestruale e la gravidanza, è anche responsabile del senso di amicizia e della tendenza umana a prendersi cura del prossimo. Un ormone che è presente anche negli uomini, seppure in quantità assai minori, ma che comunque anche nel genere maschile è coinvolto nella capacità di intrattenere e approfondire i rapporti sociali. E, sempre secondo quegli scienziati, il progesterone sarebbe legato proprio ai comportamenti omosessuali.
«Il sesso non serve solo a fini riproduttivi - conclude la ricerca - ma a tanti altri, compreso quello di rafforzare i legami sociali».

Dunque, Damiano, prova a portare questi argomenti nelle vostre discussioni, anche se temo che nessuna argomentazione, neppure la più convincente, riuscirà a far cambiare idea al tuo amico. Ciò che mi inquieta, però, lasciamelo dire, è che tu continui a considerarlo tale. In fondo, non sta dimostrando un comportamento amichevole verso di te, e mi domando se dopo tutto non faresti meglio ad andare per la tua strada, lasciando che lui vada per la sua, forte delle sue convinzioni che sfidano non solo la razionalità o la scienza, ma forse anche il buonsenso.