mercoledì 20 novembre 2013

ECCO CHE COSA DI GRANDE E MERAVIGLIOSO CI PUÒ INSEGNARE UNA ROSA

Mi scrive Lorenzo, un uomo molto sensibile, ormai in età matura: «Sempre più spesso penso alla transitorietà della vita e alla morte come limite, come qualcosa che annienterà la mia coscienza, e a volte sono preso dal panico, soprattutto la notte quando a volte m sveglio di soprassalto. Perché non riesco ad arrendermi alla realtà dei fatti, e cioè che tutti noi, prima o poi, lasceremo questa vita e continueremo, forse, il nostro percorso in una dimensione spirituale?»
Certo non è facile rispondere, perché ci vorrebbe tutta la saggezza dei tanti maestri che si sono succeduti nei millenni e hanno detto molto sui misteri della vita e della morte. Ma forse capita a proposito e mi può aiutare una delle bellissime “Meditazioni quotidiane” di Dede Riva (Edizioni Mediterranee) che cito spesso, e precisamente quella del 13 Novembre, intitolata La verità.
La dedico a tutti, ma in particolar modo proprio a Lorenzo. Eccola.

Questa è la storia di un uomo che si innamorò di una rosa, proprio come successe tanto tempo fa
– o ieri – ad un Piccolo Principe.
Il tutto cominciò con un'occhiata, terribilmente seduttiva, che un bocciolo gli lanciò una mattina. Da quel momento l'uomo provò un sentimento d'amore sempre crescente che passò dalla fase del corteggiamento (da parte sua e ritrosa civetteria da parte della rosa) a quella della fascinazione quando il bocciolo cominciò a chiudersi mostrando il colore scarlatto dei petali, “un colore incredibilmente armonico e pieno, equilibrato, mai eccessivo”, dell'innamoramento e della passione nel momento della “più sfolgorante e smaccata bellezza”, e dell'amore, quando il sentimento viscerale degli inizi si trasformò, in concomitanza con i primi segni di una splendida decadenza, in qualcosa di più dolce, più profondo e forse di più intenso.
Ma il momento più toccante della storia è, come sempre succede nelle storie d'amore, quello dell'addio che l'uomo descrive così:
Il tempo passava e nella sua sobria compostezza notai come fosse stata attenta a non lasciar mai cadere un petalo, neanche quelli più contorti o secchi. E non abbandonò mai il suo portamento fiero, nobile; non reclinò mai la testa, rimanendo sempre eretta, simbolo di una sua profonda aspirazione verso il cielo. Rimase eretta anche dopo un acquazzone notturno, molto violento. E quando quella mattina scendendo le scale non sentii il suo profumo, rimasi sorpreso. La trovai con alcuni petali che le ricoprivano il centro, come se avesse voluto proteggerlo dal temporale. Sospettando una sua debolezza nel raddrizzare quei petali, osai toccarla – per la prima volta! – per rimettere al loro posto i petali scomposti: ne crollarono al suolo la metà! Se ne era andata, così, in silenzio, senza avvertirmi, senza volermi creare preoccupazioni, dimostrandomi una volta di più una signorilità straordinaria anche in questo passaggio. Il ciclo della sua vita si era concluso e ormai era entrata nel ciclo dello spirito. Mi chiesi se esistesse un'anima di gruppo delle rose: mi piacque pensarlo. Rimasi a lungo a guardare quello stelo ormai spoglio; mi sentivo come uno spettatore che avesse avuto il privilegio di assistere a qualcosa di magico, con la paura di rovinare un'atmosfera irripetibile, testimone apparentemente distaccato eppure profondamente partecipe di questa ultima lezione di vita che la Mia maestra rosa mi aveva concesso. Respinsi la tentazione di raccogliere i petali caduti e lasciai che il vento gradatamente li disperdesse”*

“Al discepolo che gli chiedeva della verità, egli mostrò un fiore, senza parlare”.

*(da Insegnanti 3 di Lucio Baldini, su Psicodinamica N° 16, settembre-dicembre 1991)    

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