giovedì 11 aprile 2013

L'INSEGNAMENTO DEL BUDDHA: L'AUTO-PURIFICAZIONE DELLA MENTE MEDIANTE L'AUTO-OSSERVAZIONE, PER PORRE FINE ALLA SOFFERENZA


Mi è piaciuto molto questo passo da un discorso tenuto dal maestro Satya Narayan Goenka (nella foto) a Berna, il 16/7/1980, e vorrei condividerlo con voi.
Goenka, di origine indiana, ma nato e cresciuto in Myanmar (ex Birmania), è stato un insegnante di meditazione vipassana nella tradizione del maestro Sayagyi U Ba Khin, che conobbe appunto in Myanmar. Dopo aver ricevuto l'insegnamento da lui per quindici anni, Goenka ritornò in India e lì cominciò a insegnare la meditazione vipassana. I suoi corsi attrassero migliaia di persone di ogni ceto sociale, tra cui stranieri provenienti da tutto il mondo.
Ecco che cosa disse in quell'occasione.  

«Tutti cerchiamo pace e armonia, perché è ciò che manca alla nostra vita. Spesso ci sentiamo agitati, irritati, disarmonici, sofferenti. E quando proviamo questo malessere, non ci limitiamo a soffrirne personalmente, ma lo riversiamo sugli altri. Non è certamente il modo giusto di vivere. Si dovrebbe vivere in pace con se stessi e con gli altri. Come si fa a vivere in pace? Come rimanere in armonia con se stessi e mantenere attorno a noi pace e armonia?
La negatività e le impurità nella mente non possono coesistere con la pace e con l'armonia. Come si inizia a generare negatività? Quando qualcuno si comporta in un modo che non mi piace, quando succede qualcosa che non è di mio gradimento, allora divento teso e infelice, e la vita diventa insopportabile. Ma nella vita accadranno sempre fatti e situazioni contrari ai nostri desideri. Come allora non creare tensioni? Come rimanere in pace e armonia?
In India e in altri Paesi, saggi e santi del passato hanno studiato il problema della sofferenza umana, e proposto una soluzione: non appena accade qualcosa di non desiderato e si inizia a reagire con collera, paura o altre negatività, si cerca di sviare l'attenzione. Per esempio ci si alza, si prende un bicchiere d'acqua si beve e allora la collera non potrà moltiplicarsi. Oppure ci si mette a contare: uno, due, tre, quattro; oppure a ripetere una parola qualsiasi, o una frase, magari il nome di una divinità o di una persona santa in cui si ha fede, e così la mente viene sviata, liberandoci in una certa misura dalla negatività.
Questa soluzione è risultata valida e ha funzionato. E funziona ancora. Facendo così la mente si sente libera dall'agitazione. Ma in realtà questa soluzione riguarda solo il livello conscio della mente. In effetti, sviando l'attenzione, si spinge più in profondità, nell'inconscio, la negatività che lì continua a riprodursi e a moltiplicarsi. Al livello superficiale della mente c'è uno strato di pace e armonia, ma nelle profondità c'è un vulcano addormentato che prima o poi esploderà con un'eruzione violenta.
Altri si sono spinti più lontano nella loro ricerca: studiando all'interno di loro stessi la realtà della mente e della materia, compresero che sviare l'attenzione è semplicemente un modo di sfuggire al problema. Occorre affrontare la negatività, osservandola ogni volta che sorge nella mente. Non appena la si osserva, essa inizia a perdere la sua forza; lentamente si indebolisce e così viene eliminata.
Questa è una buona soluzione che evita i due estremi della repressione e del permissivismo. Se viene mantenuta repressa nell'inconscio, la negatività non verrà sradicata; permettendole di manifestarsi nell'azione fisica o verbale creerà altri problemi. Ma se la si osserva solamente, la negatività se ne va, viene eliminata.
Ecco una soluzione pratica. Un individuo non può osservare le negatività astratte della mente, come paura, collera, passione. Ma, con l'allenamento e la pratica adeguata, diventa molto semplice osservare il respiro e le sensazioni fisiche, entrambi collegati direttamente con la negatività mentale. Ignorando la propria realtà interiore non si può comprendere che la causa della sofferenza giace dentro di noi, nelle nostre cieche reazioni. Ora, con la pratica, si riesce a vedere l'altra faccia della medaglia, si diventa consapevoli di ciò che accade dentro di noi. Si impara a osservare qualsiasi cosa accade, qualsiasi sensazione compare, senza perdere l'equilibrio della mente. Si smette di reagire, si smette di moltiplicare la propria infelicità, facendo in modo che la negatività si manifesti e se ne vada.
Più si pratica questa tecnica, più si scopre quanto rapidamente ci si può sbarazzare delle negatività; e gradualmente, liberandosi, la mente diventa sempre più pura. Ora, una mente pura è sempre piena di amore disinteressato per gli altri, di compassione per le debolezze e le sofferenze degli altri, di gioia per i successi e la felicità altrui, piena di equanimità in ogni situazione.
Questo è ciò che insegnava il Buddha, un'arte di vivere. Non insegnò una religione o una dottrina filosofica. Non istruì mai i suoi seguaci a praticare dei riti, delle cerimonie cieche e vuote. Al contrario, insegnò a osservare la natura così com'è, mediante l'osservazione della propria realtà interiore. Quando si è in balìa dell'ignoranza si continua a reagire in modo nocivo per sé e per gli altri. Ma quando la saggezza si risveglia, la saggezza che nasce dall'osservare la realtà così com'è, allora si può abbandonare l'abitudine alla reazione. Quando si smette di reagire ciecamente, si è capaci di vere azioni, che hanno origine da una mente equilibrata e serena, una mente che vede e comprende la verità.
Questa esperienza diretta della propria realtà, questa tecnica di auto-osservazione è la meditazione vipassana, l'essenza dell'insegnamento del Buddha. Vipassana significa osservare le cose così come sono in realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a raggiungere la verità ultima dell'intera struttura mentale e fisica. Quando si sperimenta questa verità, si impara a non reagire più ciecamente, a non creare più negatività; e così, naturalmente, le impurità accumulate potranno essere eliminate. Ci si libera dalla sofferenza e si sperimenta una vera felicità.
Questo è l'apice dell'insegnamento del Buddha: l'auto-purificazione mediante l'auto-osservazione, che può essere praticata da chiunque perché il rimedio, come la malattia, è universale.
Praticare il cammino del Buddha significa osservare la realtà della mente e della materia, a livello di esperienza diretta. Il Buddha ci ha insegnato ad andare al livello più profondo della mente, là dove nasce la sofferenza, a osservare la sofferenza e il suo sorgere. La sofferenza è una conseguenza delle nostre reazioni di bramosia o di avversione. La sorgente della bramosia e dell'avversione va scoperta, e a quel livello occorre cambiare il condizionamento alla reazione.
L'insegnamento del Buddha non ha mai voluto convertire nessuno, né egli aveva alcun interesse a fondare una setta o una religione; il suo solo interesse è il Dhamma, la legge di natura, la verità che ognuno può scoprire in sé. Se ci deve essere una conversione, essa dovrebbe essere dalla sofferenza alla felicità, dalla negatività alla purezza, dalla schiavitù alla liberazione, dall'ignoranza alla saggezza e alla illuminazione».      

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