domenica 28 aprile 2013

YOGA PER COMBATTERE LA DEPRESSIONE: VALE LA PENA PROVARCI


Ecco un interessante articolo della dottoressa Alessandra Danese, psichiatra dell'Università di Pisa, tratto da 

http://www.medicitalia.it/alessandra.danese

.
«Data la natura eterogenea delle condizioni psichiatriche, dovuta a fattori biologici, psicologici e sociali, non sorprende che talvolta i trattamenti standard disponibili abbiano tassi di risposta inconsistenti. Attualmente vi è un aumento della ricerca e della richiesta di modalità di trattamento non-farmacologico. Uno studio condotto dalla Harris Interactive Service Bureau ha rivelato che 15,8 milioni di adulti negli Stati Uniti praticano yoga. L'obiettivo globale dello yoga è quello di promuovere la salute sia fisica che mentale e ciò potrebbe mettere d’accordo sia i pazienti che i promotori della salute. Lo yoga è una pratica che può andare bene per tutti (assenza di barriere) e che consente un notevole grado di personalizzazione. Quindi, lo yoga potrebbe essere uno strumento adatto ad essere testato come terapia per i principali disturbi psichiatrici.
Lo Yoga origina nell’antica India e si compone di un insieme di posture fisiche (asana), di tecniche di respirazione controllata (pranayama) e di rilassamento profondo, e della meditazione. E’ noto che le pratiche yoga influenzino lo stato mentale. Alcuni studi hanno rilevato benefici significativi sia nei bambini che negli adulti, che negli anziani, sia nelle persone sottoposte a stress.
Alcuni studi suggeriscono che negli individui sani lo yoga ha una certa influenza sui  neurotrasmettitori, sull’infiammazione, sullo  stress ossidativo, sui  lipidi, sui fattori di crescita, e sui secondi messaggeri, in modo molto simile a quello che è stato già dimostrato per gli antidepressivi e la psicoterapia. Si ipotizza che gli effetti benefici dello yoga siano dovuti all’assunzione di posture fisiche, che si associano ad alterazioni dell'umore, e alla meditazione, che aumenta i livelli di fattore neurotrofico cerebrale (BDNF). Altri effetti sono l’aumento del tono vagale, l’aumento dei livelli di acido gamma-aminobutirrico (GABA), l’aumento della prolattina sierica, la down-regolation dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e la diminuzione del cortisolo sierico.
Diversi studi hanno dimostrato gli effetti benefici dallo yoga su specifici sintomi psichiatrici e l’acquisizione di un senso generale di benessere.

In particolare quattro studi randomizzati esaminano gli effetti dello yoga sulla depressione (Shahidi et al.2006, Krishnamurthy 2007 et al, Vedamurthachar et al. 2006, Woolery et al., 2004). Tali studi hanno riportato che la pratica dello yoga può determinare un miglioramento significativo dei sintomi depressivi rispetto ad un gruppo di controllo. Nonostante i limiti presenti in questi 4 studi (come la difficile replicabilità, campioni di piccole dimensioni ecc.) possiamo comunque evincere un potenziale beneficio in acuto nelle depressioni di tipo lieve.
Inoltre le tecniche yoga apprese possono aiutare a modificare la percezione e la valutazione di un fattore di stress, modificando le reazioni affettive e fisiologiche di fronte alla situazione stressante.
In conclusione lo yoga potrebbe essere utilizzato per supportare le terapie farmacologiche e psicologiche. La pratica dello yoga potrebbe aiutare ad affrontare eventi vitali stressanti e la gestione dei sintomi depressivi.
Sono ancora necessari studi di biomarker e di neuroimaging a lungo termine, che mettano a confronto lo yoga con le terapie farmacologiche e psicoterapiche, che ci confermino che lo yoga possa davvero diventare un ulteriore strumento in nostro possesso per combattere i sintomi depressivi».

BIBLIOGRAFIA
Meera Balasubramaniam,1,* Shirley Telles,2 and P. Murali Doraiswamy Yoga on Our Minds: A Systematic Review of Yoga for Neuropsychiatric Disorders.  Epub 2013 Jan 25
Krishnamurthy M. N., Telles S. (2007). Assessing depression following two ancient Indian interventions: effects of yoga and ayurveda on older adults in a residential home. J. Gerontol. Nurs.
Shahidi M., Mojtahed A., Modabbernia A., Mojtahed M., Shafiabady A., Delavar A., et al. (2011).Laughter yoga versus group exercise program in elderly depressed women: a randomized controlled trial. Int. J. Geriatr. Psychiatry
Vedamurthachar A., Janakiramaiah N., Hegde J. M., Shetty T. K., Subbakrishna D. K., Sureshbabu S. V., et al. (2006). Antidepressant efficacy and hormonal effects of sudarshana kriya yoga (SKY) in alcohol dependent individuals. J. Affect. Disord.
Woolery A., Myers H., Sternlieb B., Zeltzer L. (2004). A yoga intervention for young adults with elevated symptoms of depression. Altern. Ther. Health Med.

sabato 27 aprile 2013

L'IMPORTANZA DI IMPARARE DA OGNI ESSERE E COSA PER SCOPRIRE I SEGRETI DELL'ESISTENZA



Ecco che cosa scrive Jyoti Carlotta Brucco nel suo bellissimo e prezioso libro Educazione alla pace interiore: il coraggio della libertà.

«Parliamo, giudichiamo, critichiamo molto e ascoltiamo poco… Il punto è che non sappiamo ascoltare. Preferiamo parlare, giudicare, proiettare le nostre opinioni e idee illusorie, precludendoci, così, la possibilità d'imparare ulteriormente. Osservando e ascoltando senza giudicare tutto ciò che ci circonda, possiamo apprendere il linguaggio del cuore e cogliere così il messaggio che la vera natura della mente, il nostro Centro, ha per noi in ogni istante…
Ascoltare veramente senza proiettare è una qualità preziosa e necessaria. Rende la nostra mente più chiara, permettendo così una più facile risoluzione delle diverse situazioni che dobbiamo affrontare. Osservare attentamente senza fornire opinioni affrettate su ciò che stiamo vivendo, ci facilita le decisioni. Dobbiamo valutare ogni situazione solo dopo aver osservato e ascoltato veramente. In genere, invece, proiettiamo idee affrettate provenienti dalle nostre tensioni. In questo modo la nostra mente è confusa e ci risulta complicato capire quale sia la scelta più giusta da fare. C'è differenza tra il lasciar sorgere una valutazione dopo l'osservazione e il proiettare un'opinione immediata basata, quasi sempre, sulle nostre paure.
Osservare e ascoltare è un atteggiamento mentale che ci porta più vicini a quell'attimo prezioso in cui la vera natura della nostra mente si manifesta. Occorre essere semplici e cogliere il cuore di tutte le cose. L'essenza emerge agli occhi di chi si svuota da ogni idea e opinione. Svuotarsi per lasciarsi riempire dalla verità…
Proviamo ad esercitarci iniziando dalle cose semplici. Cosa possiamo imparare, per esempio, da un cane? L'amore, il vero amore. Il padrone può maltrattarlo, abbandonarlo, trascurarlo, ma l'amico a quattro zampe continuerà sempre ad offrire il suo amore incondizionato…
Un cane ci può insegnare ad amare veramente. Questi animali speciali sono come angeli custodi che ci stanno sempre accanto. Avere un cane è un impegno ma la gioia che dà vale mille sacrifici…
Umiltà vuol dire accettare d'imparare da ogni essere e cosa, mantenendo quell'attitudine mentale aperta nel vero ascolto pieno d'interesse… Impariamo ad ascoltare l'intero universo con il nostro Centro, lasciando emergere i
messaggi che ha per noi…
Quando stiamo affrontando una situazione difficile dovremmo sempre chiederci: “Cosa posso imparare? Qual è il messaggio nascosto che mi permetterà di crescere verso la pace?” Alziamoci al mattino consapevoli di dover andare a scuola da maestra Vita. Cerchiamo d'ascoltare con attenzione gli insegnamenti di professor Universo. Perché credere di non aver più nulla da imparare o pensare di poter apprendere qualcosa di utile solo dai libri e dalle enciclopedie?
Gli indiani d'America mandavano i loro figli a scuola ogni mattina nella foresta. Tutto quello che dovevano fare era giocare liberamente, imparando però ad osservare e ascoltare tutto nei minimi particolari. Alla sera gli anziani della famiglia interrogavano i bambini per vedere se erano stati attenti. Dovevano ricordare il colore delle foglie degli alberi, i fiori e i frutti. Descrivere nei particolari ogni animale, ogni suono e odore. Ricordare se il vento era diverso da quello del giorno prima e se fosse cambiata, in qualche modo, l'acqua del ruscello.

ESERCIZIO
Guardati attorno e posa lo sguardo su un oggetto qualsiasi. Ogni cosa, persona e situazione è Dio, Unità, vera natura della mente, e, per questo, contiene tutti gli insegnamenti di cui abbiamo bisogno. 
Osserva l'oggetto che hai scelto con una mente rilassata. Proietta il meno possibile, molla la presa di ogni pensiero. Semplicemente osserva e ascolta svuotandoti da ogni opinione. Svuotati per essere riempito. Svuotati per accogliere. Svuotati in un ascolto totale. Apri il tuo cuore per accettare. Lasciati essere una cosa solo con quell'oggetto. Vivi le sue caratteristiche e funzioni assumendo quelle di cui hai più bisogno. Ascolta umilmente il tuo Centro, un messaggio per te verrà dall'infinito. 
Cerca di ascoltare anche durante la giornata e osserva tutto ciò che vedi, senti e percepisci per imparare velocemente come tornare alla tua casa di pace. 
Ogni tua domanda fatta con il cuore avrà sicuramente una risposta, ma se non impari ad ascoltare non riuscirai a percepirla. Libera il cielo dalle nuvole che non ti appartengono e guarda il sole splendente. Nel Centro del tuo essere vi è la risposta ad ogni domanda. Solo se la tua mente dimorerà in quel luogo riuscirai a comprendere tutti i segreti dell'esistenza.

IL “SALUTO ALL'ALBA”: ECCO COME DOVREMMO SENTIRCI QUANDO RIAPRIAMO GLI OCCHI LA MATTINA



SALUTO ALL'ALBA
di Kalidasa (poeta indiano del VI secolo d.C.)*

Guarda il giorno che nasce!
Poiché è la vita, la vera vita della vita.
Nel suo breve corso
Posano tutte le verità
e le ricchezze della sua esistenza:
La gioia della crescita,
La gloria dell'azione,
Lo splendore del compimento.
Poiché ieri non è che un sogno
E domani soltanto una visione,
Ma il vivere bene oggi rende
Ogni giorno trascorso un sogno
Di felicità
E ogni domani una visione di speranza.
Guarda perciò attentamente il giorno che nasce!
Questo è il saluto all'alba.

Ho voluto ricordare questa bellissima poesia perché vi ho trovato un importante parallelo in queste parole scritte da Jon Kabat-Zinn nel suo Dovunque tu vada, ci sei già.

«Praticando la consapevolezza di primo mattino si riporta alla mente che il cambiamento costante è nell'ordine delle cose; buone o cattive che siano, vanno e vengono, e assumendo un atteggiamento di costanza, saggezza e pace interiore sarà possibile affrontare qualsiasi situazione dovrebbe presentarsi. La scelta quotidiana di alzarsi di buon'ora per praticare ha questo significato. Talvolta la definisco la mia “routine”, ma in realtà si tratta di ben altro. La consapevolezza è proprio l'opposto della routine.
Se siete restii ad alzarvi un'ora prima del solito, potete sempre provare ad anticipare di mezz'ora o quindici minuti oppure cinque: è lo spirito che conta. Anche cinque soli minuti di pratica della consapevolezza al mattino possono essere molto validi; cinque minuti possono rivelare quanto si è attaccati al sonno e quanta disciplina e determinazione sono necessarie per ricavare anche un minimo spazio per se stessi, per rimanere svegli senza fare nulla. Dopo tutto, la mente pensante trova sempre la scusa quasi credibile che, dal momento che non si fa nulla, non esiste nessuna urgenza e forse nemmeno un motivo reale per agire così, quindi perché non concedersi qualche altro minuto di sonno e iniziare domani?
Per avere il sopravvento su tale prevedibile opposizione da parte di altri angoli della mente, già la sera prima occorre decidersi di alzarsi presto, senza tener conto di questi pensieri. È questo il sapore dell'autentica intenzionalità e disciplina interiore. Lo si fa semplicemente per assolvere all'impegno assunto, all'ora prefissata, piaccia o no alla mente. Dopo un certo periodo la disciplina diverrà parte di noi. È semplicemente una nuova scelta di vita. Non si tratta di un dovere, non comporta una costrizione. È solo uno spostamento dei vostri valori e delle vostre azioni.
Se non siete ancora pronti (o anche se lo siete) potete sempre utilizzare l'attimo stesso del risveglio quale momento di consapevolezza, il primo del nuovo giorno. Ancor prima di muovervi cercate di prendere coscienza del fatto che la respirazione funziona. Percepite il vostro corpo sdraiato nel letto e rilassatevi. Chiedetevi: “Sono sveglio ora? Comprendo che mi viene concesso il dono di una nuova giornata? Sono pronto? Cosa accadrà oggi? In questo momento non lo so veramente. Anche se penso a cosa devo fare so accettare di non saperlo? Posso vedere l'oggi come un'avventura? Lo vedo già ricco di possibilità?”

PROVA: prendete l'impegno di svegliarvi più presto del solito. Già questo può cambiare la vostra vita. Fate in modo che quel tempo, quale sia la sua durata, sia dedicato all'essere, a un'attenzione voluta. Non dovete trascorrerlo altrimenti che in piena coscienza. Inutile elencare mentalmente gli impegni della giornata e vivere “in anticipo”. Questo è un momento atemporale di serenità, di presenza, da vivere per voi stessi.
Inoltre, al momento del risveglio, prima di scendere dal letto, sintonizzatevi col vostro respiro, percepite le varie sensazioni del vostro corpo, notate i pensieri e i sentimenti presenti, cercate di immettere consapevolezza in questo momento. Riuscite a sentire il vostro respiro e il nascere di queste sensazioni mentre respirate? Assaporate il respiro che entra liberamente nel vostro corpo in questo momento? Chiedetevi: “Sono sveglio”?»

Non è forse questo il messaggio racchiuso anche nella bellissima poesia di Kalidasa appena citata?

* Secondo quanto egli stesso raccontava, in gioventù Kalidasa era rinomato per la sua bellezza che fece sì che una principessa chiamata Vidiottama si sia potuta sposare con lui. Kalidasa era cresciuto però senza molta istruzione, mentre la principessa era estremamente erudita e così cominciò a vergognarsi dell'ignoranza e della rozzezza del suo sposo. In un'occasione Vidiottama trattò con sarcasmo Kalidasa e questi allora decise di uccidersi gettandosi in un pozzo. Ma in un momento di lucidità chiese aiuto alla dea cui era molto devoto, Kalì, dalla quale fu ricompensato con il dono improvviso e straordinario della capacità di scrivere poesie. Per questo si ritiene che in realtà il nome Kalidasa (servitore di Kalì) sia probabilmente uno pseudonimo basato sulla grande devozione del poeta verso la dea prediletta. D'altra parte si ignora il vero nome di Kalidasa. E quello di Vidiottama probabilmente non si riferisce a una principessa in carne e ossa bensì all'erudizione come concetto, perché infatti deriva da “vidià”, conoscenza, e “ut-tama”, suprema, molto al di là dell'ignoranza. 
Entrato al servizio del re Vikrama Aditia come poeta, Kalidasa divenne il più brillante dei “navaratna”, nuovi gioielli della sua corte. E da allora le sue poesie sono diventate immortali.  




martedì 23 aprile 2013

LA PRATICA DELLA MINDFULNESS, RIMEDIO AI MALI DELLA VITA MODERNA: ECCO COME SI IMPARA




Vi propongo un interessantissimo articolo scritto dalla giornalista scientifica Adriana Bazzi per il quotidiano italiano Corriere della sera e pubblicato il 16 Ottobre dello scorso anno.

La medicina ufficiale l'ha ormai sdoganata: la pratica della mindfulness, traduzione moderna del termine «consapevolezza» del pensiero buddhista, funziona per combattere lo stress. E si moltiplicano i gruppi in tutto il mondo, Italia compresa, che la propongono come medicina per guarire le ferite e le sofferenze che le persone si portano dentro, ferite e sofferenze che oggi si chiamano stress e che non sono legate soltanto a malattie, ma anche al vivere quotidiano, ai disagi dell'ambiente di lavoro, alle pressioni sociali, alla crisi attuale. La pratica della mindfulness non è un qualcosa di esoterico, ma è una forma di meditazione che è stata valutata in una serie di ricerche scientifiche, censite dal sito PubMed (l' archivio universale degli studi in campo biomedico), a partire dal 1982. Il primo lavoro porta la firma di Jon Kabat-Zinn dell'University of Massachusets Medical School di Worcester e si riferisce al trattamento del dolore: a tutt'oggi si contano oltre 700 pubblicazioni sull'argomento. L' ultima, sul giornale Brain, Behavior & Immunity, ancora a firma di Kabat-Zinn, è dell'agosto scorso e dimostra come la meditazione sia un vero e proprio farmaco contro la solitudine degli anziani. 
Spiegare che cos'è (e che cosa non è) la mindfulness non è semplice. Lo ha fatto a Firenze, nel corso di un seminario teorico-pratico, Saki Santorelli, uno dei padri occidentali di questa disciplina insieme a Kabat-Zinn, e direttore del Center for Mindfulness all'University of Massachussets Medical School («Abbiamo cominciato in un sottoscala - dice - adesso abbiamo un vero e proprio reparto dove assistiamo decine di pazienti con la MBSR, Mindfulness Based Stress Reduction, una pratica oggi riconosciuta da 42 Stati americani»). «La mindfulness - spiega Santorelli - è la consapevolezza che nasce dal prestare attenzione al momento presente, intenzionalmente e senza giudicare. Consapevolezza non è sinonimo di rilassamento e non è nemmeno una filosofia: è un modo di essere 
che implica lo stare costantemente in relazione con se stessi e con il mondo e l'accettare quello che c' è, sia che si tratti di disagio, di sofferenza, di passione o di piacere». In altre parole: viviamo pensando sempre al passato o al futuro, mentre dovremmo radicarci nel presente, nel «qui e ora», imparando ad accettare noi stessi e a vivere più profondamente le nostre esperienze che sono fatte di sensazioni, di emozioni, di pensieri, di relazioni. L' obiettivo di tutto questo? Ridurre la sofferenza interiore e lo stress. Come ci si arriva? Il programma MBSR messo a punto all'University of Massachussets Medical School prevede una serie di lezioni pratiche di meditazione (dalle due ore e mezza alle 3 ore e mezza, una volta alla settimana, per otto settimane), più i compiti a casa (esercizi da praticare sei giorni su sette per almeno 45 minuti al giorno), più un giorno di ritiro alla sesta settimana del programma. Al centro americano si rivolgono non soltanto persone con problemi psichiatrici o psicologici, come ansia, attacchi di panico, depressione, ma anche pazienti con dolore cronico, asma, mal di testa, diabete, infezioni da Hiv. «Tutto quello che si impara durante i corsi - dice ancora Santorelli - deve poi diventare un modo di essere nella vita di tutti i giorni. Ci vuole continuità nella consapevolezza». Sono diverse le strade che conducono alla mindfulness e che si apprendono con la pratica. Una è quella del corpo, l'altra è quella delle sensazioni, la terza è quella delle emozioni: eccole in estrema sintesi. La pratica del body scan, per esempio, che viene insegnata durante le lezioni, permette di prestare attenzione al corpo. Ecco allora che mi concentro sul respiro, poi sulle mani, poi sui piedi che appoggiano a terra. E posso anche ascoltare le sensazioni che provo toccando con la mano il bracciolo della sedia o cercare la posizione più piacevole (è questa la strada delle sensazioni) o, infine, accogliere pensieri ed emozioni che arrivano alla mia mente, piacevoli o spiacevoli, non importa, non devo giudicare (è la pratica con le emozioni).

La famosa Onda dell'artista giapponese Hokusai può essere presa come metafora della vita e spiegare il significato della meditazione. Persone piccolissime in fragili barche devono affrontare onde enormi, ma non ne sono sovrastate: formano un tutt'uno. Così l' uomo è in connessione con il mondo esterno e ne è condizionato, ma può sempre trovare un punto fermo dentro di sé che, nell'immagine, è rappresentato dal monte Fuji. La pratica della mindfulness si sta diffondendo anche in Italia. A promuoverla, come strumento di crescita personale, di sviluppo professionale e di impegno etico per favorire un vivere consapevole, è il Min (Mindfulness Italia Network), un coordinamento di tre associazioni, il Centro per la mindfulness Motus Mundi, il Centro Italiano Studi mindfulness di Roma ed Esperienze di mindfulness. La mindfulness può essere applicata in campi diversi: da quello clinico per il trattamento di vari disturbi, a quello lavorativo per ridurre lo stress che colpisce i manager, a quello educativo dove sembra dare buoni risultati con bambini aggressivi con deficit dell'attenzione. 


giovedì 11 aprile 2013

L'INSEGNAMENTO DEL BUDDHA: L'AUTO-PURIFICAZIONE DELLA MENTE MEDIANTE L'AUTO-OSSERVAZIONE, PER PORRE FINE ALLA SOFFERENZA


Mi è piaciuto molto questo passo da un discorso tenuto dal maestro Satya Narayan Goenka (nella foto) a Berna, il 16/7/1980, e vorrei condividerlo con voi.
Goenka, di origine indiana, ma nato e cresciuto in Myanmar (ex Birmania), è stato un insegnante di meditazione vipassana nella tradizione del maestro Sayagyi U Ba Khin, che conobbe appunto in Myanmar. Dopo aver ricevuto l'insegnamento da lui per quindici anni, Goenka ritornò in India e lì cominciò a insegnare la meditazione vipassana. I suoi corsi attrassero migliaia di persone di ogni ceto sociale, tra cui stranieri provenienti da tutto il mondo.
Ecco che cosa disse in quell'occasione.  

«Tutti cerchiamo pace e armonia, perché è ciò che manca alla nostra vita. Spesso ci sentiamo agitati, irritati, disarmonici, sofferenti. E quando proviamo questo malessere, non ci limitiamo a soffrirne personalmente, ma lo riversiamo sugli altri. Non è certamente il modo giusto di vivere. Si dovrebbe vivere in pace con se stessi e con gli altri. Come si fa a vivere in pace? Come rimanere in armonia con se stessi e mantenere attorno a noi pace e armonia?
La negatività e le impurità nella mente non possono coesistere con la pace e con l'armonia. Come si inizia a generare negatività? Quando qualcuno si comporta in un modo che non mi piace, quando succede qualcosa che non è di mio gradimento, allora divento teso e infelice, e la vita diventa insopportabile. Ma nella vita accadranno sempre fatti e situazioni contrari ai nostri desideri. Come allora non creare tensioni? Come rimanere in pace e armonia?
In India e in altri Paesi, saggi e santi del passato hanno studiato il problema della sofferenza umana, e proposto una soluzione: non appena accade qualcosa di non desiderato e si inizia a reagire con collera, paura o altre negatività, si cerca di sviare l'attenzione. Per esempio ci si alza, si prende un bicchiere d'acqua si beve e allora la collera non potrà moltiplicarsi. Oppure ci si mette a contare: uno, due, tre, quattro; oppure a ripetere una parola qualsiasi, o una frase, magari il nome di una divinità o di una persona santa in cui si ha fede, e così la mente viene sviata, liberandoci in una certa misura dalla negatività.
Questa soluzione è risultata valida e ha funzionato. E funziona ancora. Facendo così la mente si sente libera dall'agitazione. Ma in realtà questa soluzione riguarda solo il livello conscio della mente. In effetti, sviando l'attenzione, si spinge più in profondità, nell'inconscio, la negatività che lì continua a riprodursi e a moltiplicarsi. Al livello superficiale della mente c'è uno strato di pace e armonia, ma nelle profondità c'è un vulcano addormentato che prima o poi esploderà con un'eruzione violenta.
Altri si sono spinti più lontano nella loro ricerca: studiando all'interno di loro stessi la realtà della mente e della materia, compresero che sviare l'attenzione è semplicemente un modo di sfuggire al problema. Occorre affrontare la negatività, osservandola ogni volta che sorge nella mente. Non appena la si osserva, essa inizia a perdere la sua forza; lentamente si indebolisce e così viene eliminata.
Questa è una buona soluzione che evita i due estremi della repressione e del permissivismo. Se viene mantenuta repressa nell'inconscio, la negatività non verrà sradicata; permettendole di manifestarsi nell'azione fisica o verbale creerà altri problemi. Ma se la si osserva solamente, la negatività se ne va, viene eliminata.
Ecco una soluzione pratica. Un individuo non può osservare le negatività astratte della mente, come paura, collera, passione. Ma, con l'allenamento e la pratica adeguata, diventa molto semplice osservare il respiro e le sensazioni fisiche, entrambi collegati direttamente con la negatività mentale. Ignorando la propria realtà interiore non si può comprendere che la causa della sofferenza giace dentro di noi, nelle nostre cieche reazioni. Ora, con la pratica, si riesce a vedere l'altra faccia della medaglia, si diventa consapevoli di ciò che accade dentro di noi. Si impara a osservare qualsiasi cosa accade, qualsiasi sensazione compare, senza perdere l'equilibrio della mente. Si smette di reagire, si smette di moltiplicare la propria infelicità, facendo in modo che la negatività si manifesti e se ne vada.
Più si pratica questa tecnica, più si scopre quanto rapidamente ci si può sbarazzare delle negatività; e gradualmente, liberandosi, la mente diventa sempre più pura. Ora, una mente pura è sempre piena di amore disinteressato per gli altri, di compassione per le debolezze e le sofferenze degli altri, di gioia per i successi e la felicità altrui, piena di equanimità in ogni situazione.
Questo è ciò che insegnava il Buddha, un'arte di vivere. Non insegnò una religione o una dottrina filosofica. Non istruì mai i suoi seguaci a praticare dei riti, delle cerimonie cieche e vuote. Al contrario, insegnò a osservare la natura così com'è, mediante l'osservazione della propria realtà interiore. Quando si è in balìa dell'ignoranza si continua a reagire in modo nocivo per sé e per gli altri. Ma quando la saggezza si risveglia, la saggezza che nasce dall'osservare la realtà così com'è, allora si può abbandonare l'abitudine alla reazione. Quando si smette di reagire ciecamente, si è capaci di vere azioni, che hanno origine da una mente equilibrata e serena, una mente che vede e comprende la verità.
Questa esperienza diretta della propria realtà, questa tecnica di auto-osservazione è la meditazione vipassana, l'essenza dell'insegnamento del Buddha. Vipassana significa osservare le cose così come sono in realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a raggiungere la verità ultima dell'intera struttura mentale e fisica. Quando si sperimenta questa verità, si impara a non reagire più ciecamente, a non creare più negatività; e così, naturalmente, le impurità accumulate potranno essere eliminate. Ci si libera dalla sofferenza e si sperimenta una vera felicità.
Questo è l'apice dell'insegnamento del Buddha: l'auto-purificazione mediante l'auto-osservazione, che può essere praticata da chiunque perché il rimedio, come la malattia, è universale.
Praticare il cammino del Buddha significa osservare la realtà della mente e della materia, a livello di esperienza diretta. Il Buddha ci ha insegnato ad andare al livello più profondo della mente, là dove nasce la sofferenza, a osservare la sofferenza e il suo sorgere. La sofferenza è una conseguenza delle nostre reazioni di bramosia o di avversione. La sorgente della bramosia e dell'avversione va scoperta, e a quel livello occorre cambiare il condizionamento alla reazione.
L'insegnamento del Buddha non ha mai voluto convertire nessuno, né egli aveva alcun interesse a fondare una setta o una religione; il suo solo interesse è il Dhamma, la legge di natura, la verità che ognuno può scoprire in sé. Se ci deve essere una conversione, essa dovrebbe essere dalla sofferenza alla felicità, dalla negatività alla purezza, dalla schiavitù alla liberazione, dall'ignoranza alla saggezza e alla illuminazione».      

lunedì 8 aprile 2013

KAHLIL GIBRAN: «PORTA ALLA ROVINA IL SUO PAESE COLUI CHE… FA DELLA POLITICA LA SUA OCCUPAZIONE»

Lo scrittore libanese Kahlil Gibran (1883-1931)
 in un ritratto  del 1908.

«La notizia di quella anziana coppia di Civitanova Marche che si è uccisa in modo così atroce per le gravi difficoltà economica, seguita subito dopo dal fratello di lei che ha voluto seguirne le orme, mi ha letteralmente sconvolta» mi scrive in una mail Lina da una città del Nord Italia. «So che in Italia, come in altri Paesi d'Europa, la povertà sta guadagnando terreno e sono terrorizzata all'idea che anch'io, un giorno o l'altro, possa trovarmi in una situazione simile. Lavoro in un'importante multinazionale che fa utili cospicui, ma tutto ciò non basta e in azienda gira la voce che per risparmiare presto la sede italiana verrà chiusa, per cui rimarrebbero senza lavoro migliaia di persone. L'alternativa sarebbe trasferirmi con la mia famiglia  in una delle sedi estere presenti in Olanda o in Inghilterra, cosa assurda e oltretutto impossibile. Mi sento male solo al pensiero, perché sono separata con due figli ancora piccoli che vivono con me, il padre non sempre paga gli alimenti perché è rimasto disoccupato e io ho un mutuo da pagare ancora per quindici anni. Ma come è potuto accadere che il nostro modello sociale sia andato così in crisi? Di chi è la colpa? Fino a quando durerà e che cosa possiamo fare per evitare la catastrofe? Scusa lo sfogo, ma sono veramente angosciata».

Vorrei dire a Lina e a tutte le persone che in questo momento così difficile per tutti noi sono preoccupate, di non perdere la fiducia e l'ottimismo e di lavorare mentalmente per creare forme-pensiero positive, di immaginarsi cioè mentre superano tutte le difficoltà e possono contare sull'aiuto della Coscienza cosmica, sulla Forza o su Dio, come preferiscono chiamare questa energia che scorre in tutti noi. L'atteggiamento positivo è della massima importanza e a volte può davvero cambiare il corso delle vicende. È difficile dire chi sono fisicamente i responsabili di questa grave crisi economica che ci sta impoverendo tutti. Probabilmente sono stati soprattutto gli speculatori finanziari che popolano l'ambiente dell'alta finanza, i quali non esitano cinicamente a rovinare dal punto di vista economico Paesi e interi popoli pur di realizzare guadagni astronomici, spinti da un bramosia patologica e insaziabile. Per il proprio interesse personale, dunque, creano povertà e spingono a gesti disperati tante persone che hanno vissuto del proprio lavoro onestamente per molti anni, compiendo tanti sacrifici. A loro bastano invece poche operazioni finanziarie per realizzare somme astronomiche, prosciugando le casse di Stati e milioni di persone. È qualcosa di indecente, di moralmente spregevole e molto grave rispetto alle leggi cosmiche, di cui non sono neppure consapevoli. Come disse Gesù riferendosi a chi lo crocifiggeva, «Non sanno quello che fanno». Altrimenti non potrebbero creare tanta infelicità e seminare nel mondo tanta violenza, perché saprebbero che presto o tardi tutta questa negatività tornerà su di loro in un modo o nell'altro. E che comunque, alla luce del loro smisurato Io egoico che ignora il principio universale della solidarietà umana e misericordia, si sentiranno eternamente infelici e insoddisfatti delle loro conquiste e delle loro ricchezze. Tutto questo ovviamente non giustifica né diminuisce le responsabilità del loro comportamento, ne dà solo una possibile spiegazione. La politica, poi, ha dato una grande mano ad aggravare la situazione con la difesa degli interessi dell'uno o dell'altro esponente o schieramento, come anche di una categoria sociale o dell'altra. E quando c'è uno squilibrio politico-sociale a discapito di una parte della popolazione non può esserci armonia né prosperità per nessuno, La società è come un organismo e ciascuno di noi rappresenta una cellula, e ogni cellula è collegata da fili sottili a tutte le altre. Il male fatto a una di queste cellule si ripercuote inevitabilmente sulle altre, prima o poi: nessuno può sottrarsi a questa legge naturale. Ed è così che anche i ricchi, che difendono i propri privilegi e i propri patrimoni decretando la rovina di tante altre persone, prima o poi inevitabilmente risentiranno di tutto questo male che spargono attorno a sé egoisticamente. E infatti se ora i poveri piangono anche i più abbienti non ridono: ci sono molte aziende in crisi, per esempio nel settore editoriale in cui ho lavorato a lungo, per staccarmene quando ho visto che disumanità, cinismo e sfruttamento esasperato stavano diventando idoli da adorare. E so che la grande azienda in cui ho lavorato  per quasi vent'anni ora è praticamente sul lastrico. Colpa dei suoi dirigenti che per anni hanno disprezzato e umiliato la professionalità di tanti dipendenti e hanno sfruttato l'inesperienza di tanti giovani collaboratori esterni sottopagati, tra l'altro abbassando il livello di qualità dei prodotti e distribuendo infelicità a tutti i livelli. Ora stanno raccogliendo quello che hanno seminato. E anche i miliardari che ne sono proprietari adesso sono preoccupati perché le loro aziende valgono molto meno di un tempo, anche a causa della provvidenziale creazione di altri mezzi di comunicazione come internet. Ma la mia indignazione è rivolta soprattutto verso i nostri politici, che non avendo lavorato come era loro dovere per vent'anni per migliorare l'economia del Paese e facendo solo leggi per difendere i propri interessi, hanno gettato nella miseria e nella disperazione la nostra gente, e adesso promettono di fare in fretta quello che non hanno saputo fare in tanti anni e naturalmente non sapranno fare mai.
«Porta la sua nazione alla rovina colui che mai getta un seme, mai depone un mattone, mai tesse un indumento, ma fa della politica la sua occupazione» recita un aforisma del grande scrittore libanese Kahlil Gibran. Parole quanto mai profetiche nel caso del nostro Paese. Nessuno dovrebbe fare politica per lavoro, ma solo per spirito di servizio e per un tempo limitato. E ora forse c'è un movimento politico che tenta di portare avanti questo messaggio. Speriamo possa operare una rivoluzione buona, positiva, e riesca a ripulire la politica da tutte quelle brutture che attualmente la umiliano e ce la fanno detestare. A te, Lina, e a tutte le persone in difficoltà, un mio piccolo, modesto pensiero di positività.  

venerdì 5 aprile 2013

LA PREGHIERA DI SAN FRANCESCO, LA SUA VITA, IL SUO MESSAGGIO COSÌ PROFONDAMENTE CRISTIANO



«Signore, fammi strumento della tua pace.
Dove c'è odio, fa' ch'io semini amore.
Dove c'è offesa, perdono;
Dove c'è dubbio, fede;
Dove c'è disperazione, speranza;
Dove c'è tenebra, luce;
Dove c'è tristezza, gioia:

O divino Signore, fa' ch'io non debba a lungo cercare
Per essere consolato come per consolare,
Per essere capito come per capire;
Per essere amato come per amare.
Perché è nel dare che riceviamo;
È perdonando che veniamo perdonati;
È nel morire a se stessi che si rinasce alla vita eterna.


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“Il Cantico delle Creature”, conosciuto anche come “Il cantico di Frate sole e Sorella Luna” è la prima poesia scritta in italiano (anzi, in“volgare”, lingua dal suono crudo, aspro e un po' rozzo all'apparenza, che si parlava sul versante orientale del Tevere e della quale ancora oggi si possono avvertire alcune sonorità nelle campagne umbre). Francesco d’Assisi la compose nel 1226.

Si tratta di una lode a Dio, alla vita e alla natura che viene vista in tutta la sua bellezza e complessità. Al testo originale segue una versione in italiano moderno.
Cantico delle Creature
«Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de te, Altissimo, porta significatione.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore
et sostengo infirmitate et tribulatione.
Beati quelli ke ‘l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ‘l farrà male.
Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate».
In italiano moderno:
«Altissimo, Onnipotente Buon Signore, tue sono la lode, la gloria, l’onore ed ogni benedizione.
A te solo Altissimo, si addicono e nessun uomo è degno di pronunciare il tuo nome.
Tu sia lodato, mio Signore, insieme a tutte le creature specialmente il fratello sole, il quale è la luce del giorno, e tu attraverso di lui ci illumini.
Ed esso è bello e raggiante con un grande splendore: simboleggia te, Altissimo.
Tu sia lodato, o mio Signore, per sorella luna e le stelle: in cielo le hai formate, chiare preziose e belle.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello vento, e per l’aria e per il cielo; quello nuvoloso e quello sereno e ogni tempo
tramite il quale dai sostentamento alle creature.
Tu sia lodato, mio Signore, per sorella acqua, la quale è molto utile e umile, preziosa e pura.
Tu sia lodato, mio Signore, per fratello fuoco, attraverso il quale illumini la notte. È bello, giocondo, robusto e forte.
Tu sia lodato, mio Signore, per nostra sorella madre terra, la quale ci dà nutrimento, ci mantiene e produce diversi frutti con fiori colorati ed erba.
Tu sia lodato, mio Signore, per quelli che perdonano in nome del tuo amore e sopportano malattie e sofferenze.
Beati quelli che le sopporteranno in pace, perché saranno incoronati.
Tu sia lodato, mio Signore, per la nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare:
guai a quelli che moriranno mentre sono in situazione di peccato mortale.
Beati quelli che la troveranno mentre stanno rispettando le tue volontà,
perché la seconda morte non farà loro male.
Lodate e benedicete il mio Signore, ringraziatelo e servitelo con grande umiltà».
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«Come fosse un “prologo in cielo”, il Cantico delle Creature di Francesco d'Assisi, Laudes Creaturarum, apre la vicenda storica della poesia italiana» dice Enzo Siciliano nel primo volume [da Francesco d'Assisi a Ludovico Ariosto] della sua opera La Letteratura italiana, edito da Arnoldo Mondadori. «La leggenda, aggiunge Siciliano, ha raccolto notizia di quando il Santo compose il Cantico sul finire d'una notte di spasimi, trascorsa a San Fabiano presso Rieti. Una torma di topi famelici lo aveva assediato, e il corpo – la cronica malattia agli occhi, e il male, l'idropisia, che di lì a qualche mese l'avrebbe portato alla tomba – non era stato da meno dal tormentarlo. 
Era – sembra – la primavera del 1226: Francesco d'Assisi sarebbe morto in autunno. Quei tormenti dettero il via a una preghiera; e la preghiera si risolse nel ritmo dei versetti proprio per la tensione interamente umana che animava frate Francesco. Non che solo il corpo parlasse per lui, ma la sublimazione e l'estasi delle fede, in lui, non avevano altra esistenza che attraverso il corpo: in esso irresistibilmente rinascevano e si comprovavano. Il corpo era dolore, pena, e insieme letizia spirituale. 
La morte, in tutto questo. sarebbe stata non nemica, e neanche l'amica consolatrice e assolvitrice del dolore, ma creatura fra le creature, perciò stesso sorella.
Figlio di un mercante che aveva traffici con la Francia, Pietro di Bernardone, e di una donna che alcuni sostengono essere francese, trascorse una giovinezza agiata – “princeps iuventutis”, fu detto. Se la vita lieta dell'attiva città in cui nacque [tra il 1181 e il 1182] – Assisi aveva rivendicato, come altri comuni italiani, la propria autonomia contro il servaggio imperiale [nel 1174 era stata assediata e conquistata da Federico I Barbarossa il quale aveva dato l'investitura della città al duca Corrado di Lutzen, detto anche Corrado di Urslingen, che il popolo di Assisi, stanco delle sue prepotenze, aveva scacciato dopo essersi  a lui ribellato] – lo coinvolse del tutto; a tale coinvolgimento è da attribuire la prima crisi che patì il suo animo di ventenne. 
Era il 1202. Assisi aveva preso le armi contro Perugia; ne ebbe la peggio. Francesco andò in battaglia e fu preso prigioniero con altri: la prigionia dovette distruggere alcune certezze in quel ragazzo brillante e scapigliato…
Dopo un anno tornò in città, si ammalò gravemente. Alla guarigione, è la vita stessa che lo disgusta: se ne vorrebbe allontanare. Di nuovo, la guerra lo incanta. Parte alla volta della Puglia, seguendo forse Gualtieri di Brienne in lotta contro il papa Innocenzo III. A Spoleto, durante il viaggio, si ammala ancora: il corpo fragile non rispondeva al desiderio d'azione che lo esaltava. La mente gli si affolla di visioni: – sente che si deve fare “soldato di Cristo”. 
Torna ad Assisi, e, mentre prega a San Damiano, una voce pare suggerirgli di riedificare la chiesa che sta per cadere. Si dà da fare a raccogliere denaro per il restauro della piccola cappella. Lascia la casa paterna, cerca luoghi solitari: lo giudicano pazzo. 
Pietro di Bernardone se ne sdegna: cita il figlio davanti ai consoli della città. Francesco si rifiuta di comparire: non riconosce, così afferma, altra autorità su sé che quella di Dio. Il padre lo conduce dinanzi al vescovo. Qui, il figlio rinuncia a tutto quanto è suo; persino si spoglia degli abiti che veste, per affermare che si sente morto a qualsiasi legame familiare. 
Il 24 febbraio 1209 ascolta messa nella cappella della Porziuncola. La lettura del Vangelo di Matteo, là dove è detto «non tenete alla cintura né oro né argento né moneta, né bisacce per il viaggio né doppia veste o sandali o bastone», lo entusiasma. Grida «È questo che voglio, è questo che ho sempre cercato e desidero con tutto il cuore di praticare!»…
È come se Francesco avesse raccolto le tante voci disparate levatesi contro la simonia [commercio di beni spirituali o di beni temporali a essi strettamente collegati] ecclesiastica, contro il sudicio che infangava lo stesso trono di Pietro, – e il significato di Cristo ne era stravolto. L'Europa cristiana era percorsa da parole e gesti d'eresia per questo. I seguaci di Gioachino da Fiore, i Catari, i Patarini, i Valdesi avevano ricevuto condanne cocenti, irreversibili, e persecuzioni. Chi gridava, chi si indignava era spesso animato da sentimenti di vendetta… Bisognava rigenerare il senso della vita, il senso profondo della parola evangelica: restituire a Cristo la sua immagine, antica e sempre nuova…
Francesco riuscì a far rivivere il Cristo del Vangelo: non il Cristo lontano, chiuso nel cielo anche se paziente, della tradizione monastica. Ma il Cristo dell'anima, quello che ci rende la natura “sorella” e rende noi creature fra le creature. 
I monaci penitenti avevano tenuto per nemico il corpo. Francesco riscopre nel dolore del corpo l'immagine divina. Dio è anche dolore, patimento e resurrezione: porta la croce, – e, se l'uomo porta la croce come il Cristo, è simile al Cristo: ne è fratello e figlio. 
Ma al senso ultimo della rivoluzione francescana ciò non basta: Francesco sposa la povertà: – rifiuta ogni tipo di potere; e, se il potere ha da essere, lo lascia ad altri, alla “forma” della Chiesa di Roma. La Chiesa di Roma sappia che la pratica cristiana è anche pratica di povertà: – solo così si potrà riscoprire il fratello uomo e la sorella natura in pura allegrezza, in beatitudine realmente celeste. 
L'interezza del Cristo rivive in Francesco e nei suoi fratelli. E ciò fu subito capito dal mondo intorno a loro. Tutta la vita, nella loro preghiera, diventava non oggetto di qualsivoglia rifiuto ma motivo di lode, – persino la morte…
La malattia degli occhi, l'idropisia: – quando sentì vicina la “sorella morte”, Francesco chiese d'essere portato alla Porziuncola, dove aveva avuto la decisiva chiamata al Cristo. Vi morì il 4 ottobre 1226».  

Perché Francesco d'Assisi? Ho ritenuto importante ripercorrere seppure brevemente la vita e le idee (in cui si riconoscono echi delle verità universali appartenenti a tutte le religioni) del Santo di Assisi in un'epoca in cui tutto, ma proprio tutto, è mercificato e in cui però un papa illuminato ha deciso di chiamarsi Francesco, in omaggio alla sua figura e al suo messaggio di povertà e fratellanza, che deve essere valido anche per la Chiesa e i suoi esponenti.    






PAROLE DI LAO TZU: SOSPENDERE IL DIALOGO INTERIORE

«Svuotati di tutto.
Lascia che la mente riposi in pace.
Le diecimila cose ascendono e cadono mentre
il Sé vigila sul loro ritorno.
Crescono e prosperano e poi ritornano alla sorgente.
Il ritorno alla sorgente è quiete, che è la via della natura.
La via della natura è immutabile.
Conoscere la costanza significa comprendere a fondo.
Non conoscere la costanza conduce al disastro.
Conoscere la costanza apre la mente.
Avendo un cuore aperto, agirete da re.
Essendo re, raggiungerete il divino.
Essendo divini, sarete tutt'uno con il Tao.
Essere tutt'uno con il Tao significa essere eterni.
E se il corpo muore, il Tao non muore mai».

                                                             da Tao-te-Ching




martedì 2 aprile 2013

COLTIVARE LA CONSAPEVOLEZZA PER VINCERE GLI AUTOMATISMI, CONQUISTARE LA LIBERTÀ E DIVENTARE PROTAGONISTI DELLA PROPRIA VITA

Che cos'è la consapevolezza? Come si ottiene? Ecco che cosa dice Jon Kabat-Zinn (nella foto sopra), fondatore e direttore della Clinica per la riduzione dello stress presso il Medical Center dell'Università del Massachussets, professore associato nel reparto di Medicina preventiva e comportamentale, e autore di libri famosi come Dovunque tu vada, ci sei già, edizioni Corbaccio, da cui sono tratti i seguenti brani.

«La consapevolezza è un'antica pratica buddista che riveste un profondo significato per la nostra vita attuale. Questo significato non ha alcuna relazione con il buddismo in sé o la conversione al buddismo, ma riguarda tutto ciò che si riferisce al prendere coscienza e vivere in armonia con se stessi e il mondo intero…
Dal punto di vista buddista, il nostro normale stato di lucidità è considerato gravemente limitato e limitante, sotto molti aspetti simile a un sogno prolungato più che a uno stato di veglia. La meditazione aiuta a risvegliarsi da questo sonno di automatismo e inconsapevolezza, ponendoci in condizioni di vivere la nostra vita godendo pienamente di tutte le nostre potenzialità consce e inconsce…
La consapevolezza è stata definita il cuore della meditazione buddista. Fondamentalmente si tratta di un concetto molto semplice; la sua forza risiede nella sua pratica e applicazione. Consapevolezza significa prestare attenzione in un modo peculiare: di proposito, nel momento presente e senza presunzione. Questo tipo di attenzione produce maggior lucidità, chiarezza e accettazione della realtà in atto. Rende consapevoli del fatto che la vita si svolge solo per momenti successivi. Se non si è pienamente presenti in molti di quei momenti può accadere non solo di lasciarsi sfuggire ciò che è più valido nella propria vita, ma anche di non rendersi conto della ricchezza e profondità delle possibilità personali di crescita e trasformazione.
L'insufficiente consapevolezza del presente, oltre ad azioni e comportamenti inconsci e automatici, spesso indotti da timori e insicurezze radicati, crea altri problemi. Se non vi si pone rimedio questi tendono ad accumularsi nel corso del tempo e alla fine ci lasciano bloccati e privi di contatto con la realtà. Col tempo potremmo perdere fiducia nella nostra capacità di reimpiegare le nostre stesse energie finalizzandole al raggiungimento di maggior soddisfazione e felicità, forse persino di maggior salute.
La consapevolezza fornisce un modo semplice ma vigoroso per sbloccarsi e recuperare saggezza e vitalità. Un modo per riappropriarsi del significato e della qualità della propria vita, compresi i rapporti con la famiglia, l'ambiente di lavoro, il mondo e l'intero pianeta in generale, ma, soprattutto del rapporto con se stessi come persone…
Quando c'impegniamo a prestare attenzione senza riserve, senza farci condizionare da preferenze o antipatie, opinioni e pregiudizi, proiezioni e aspettative, si aprono nuove possibilità e ci viene offerta l'occasione di liberarci dalla camicia di forza dell'inconsapevolezza…
Pertanto, la consapevolezza non è in contrasto con una qualsiasi credenza o tradizione – religiosa e persino scientifica – né intende instillare alcunché, in particolare non un nuovo sistema di fede o ideologia. È semplicemente un metodo pratico per rimanere in contatto con la pienezza del proprio essere grazie a un processo sistematico di osservazione, indagine personale e azione consapevole. Non vi è nulla di freddo, analitico o insensibile in questo. La pratica della consapevolezza si esprime con dolcezza, comprensione e attenzione. Un altro modo di definirla sarebbe “amorevolezza”».

«Praticare la consapevolezza può essere semplice, ma non necessariamente facile. È una metodologia che richiede sforzo e disciplina perché le forze contrapposte – il nostro abituale automatismo e la scarsa attenzione – sono estremamente resistenti; sono talmente tenaci ed estranee alla nostra consapevolezza da richiedere obbligatoriamente un impegno interiore e un certo tipo di lavoro solo per dare consistenza ai nostri sforzi mirati a captare coscientemente i vari momenti e rinvigorire la consapevolezza. Questo lavoro è però intrinsecamente gratificante perché ci pone in contatto con molti aspetti della nostra vita che solitamente trascuriamo e perdiamo di vista…
Tendiamo a trascurare particolarmente il fatto che virtualmente pensiamo ininterrottamente. Il flusso incessante di pensieri che emana dalla nostra mente ci lascia scarsissimi momenti di sollievo interiore. Da parte nostra ci riserviamo spazio insufficiente per essere veramente noi stessi, senza sentirci costretti a correre costantemente facendo le cose più svariate. Troppo frequentemente le nostre azioni sono inconsulte, intraprese senza riflessione, dettate da impulsi e pensieri del tutto consueti che passano per la mente come un fiume impetuoso o con la violenza di una cascata. Veniamo travolti dalla corrente che finisce col sommergere la nostra vita portandoci dove forse non intendiamo andare, senza neppure essere coscienti della direzione.
Meditazione significa imparare a svincolarsi dalla corrente, sedere sulla sua sponda, ascoltarla, trarne insegnamento e poi sfruttarne le energie per farci guidare anziché dominare. Questo processo non si svolge magicamente da solo. Richiede energia. Noi chiamiamo “pratica” o “pratica di meditazione” lo sforzo di coltivare la nostra capacità di vivere il presente».

«Un buon modo di interrompere le nostre occupazioni è passare per un momento alla “modalità dell'essere”. Consideratevi un testimone esterno, al di fuori del tempo. Valutate semplicemente questo momento, senza tentare affatto di cambiarlo. Cosa sta accadendo? Cosa state provando? Cosa vedete? Cosa sentite?… 

Prova: Più volte nel corso della giornata, fermatevi, sedetevi, e immedesimatevi nella vostra respirazione per cinque minuti o anche solo per cinque secondi. Accettate senza riserve il presente, le vostre sensazioni e come percepite la situazione. In questi momenti non cercate di cambiare nulla, limitatevi a respirare e rilassarvi. Respirate, lasciate correre; astenetevi dal voler produrre qualcosa di diverso in questo momento; mentalmente ed emotivamente lasciate che questo momento sia esattamente com'è e lasciate a voi stessi la libertà di essere così come siete. Poi, quando sarete pronti, muovetevi nella direzione del cuore, consapevoli e risoluti». 


Citazione di Kabat-Zinn da Io sono quello di Nisargadatta Maharaj:
Domanda: Come posso districare un groviglio che si trova interamente al di sotto del mio livello di coscienza?
Nisargadatta: Essendo presente a te stesso… se ti osservi con attenzione durante la tua vita quotidiana, con l'intenzione di capire anziché giudicare, in piena accettazione di qualsiasi cosa possa emergere, perché esiste, stimoli il profondo a salire in superficie per arricchire la tua vita e la tua consapevolezza con le sue energie represse. Questa è la grande funzione della consapevolezza; rimuove ostacoli e libera energie mediante la comprensione della vita e della mente. Il sapere è la porta verso la libertà e la vigile attenzione è la madre del sapere.