sabato 9 febbraio 2013

EMOZIONI E DISTRAZIONI OSTACOLANO LA MEDITAZIONE? ECCO COME “USARLI” PER ALIMENTARE LA CONSAPEVOLEZZA

Siete interessati alla meditazione? Avete cominciato a praticarla da soli e volete istruzioni al riguardo per non deviare dal viaggio interiore che avete intrapreso? Vorrei condividere con voi alcuni passi di un vecchio, ma interessantissimo scritto di Corrado Pensa, profondo studioso della meditazione vipassana, che ha contribuito attivamente a diffondere non solo in Italia, ma anche in Inghilterra e negli Stati Uniti. In questo articolo che si intitola La congiunzione degli opposti nella pratica meditativa, da cui ho estratto i passi secondo me più salienti e significativi, si spiegano in modo semplice ed efficace alcuni principi cui attenersi per una meditazione profonda e capace di trasformare in attenta consapevolezza le emozioni che la ostacolano.
Ha scritto Pensa:
«…Ora la pratica meditativa se, a lungo andare, è in grado di alleviare radicalmente il disagio, all'inizio ha anzitutto un ufficio diverso, che è quello di rivelarci meglio il disagio, ossia di portarci in contatto diretto e preciso con le varie espressioni del nostro disagio. Ciò è reso possibile dal fatto che la pratica, tipicamente, insieme con la visione del disagio, ci procura una forza crescente per tollerarlo e comprenderlo. Cosa vuol dire che la meditazione ci mostra meglio il nostro disagio? In sostanza e in classici termini buddhisti vuol dire che, una volta che si prende a meditare, una porzione non piccola del tempo della meditazione trascorre a confronto con i cinque cosiddetti “impedimenti” o turbamenti od ostacoli: attaccamento, irrequietezza, indolenza, avversione, dubbio. Non è raro, soprattutto agli inizi della pratica (e agli inizi del viaggio interiore possono essere parecchio lunghi), che una seduta di meditazione sia tutto un alternarsi dei cinque impedimenti, a ondate successive.
È bene aprire una parentesi in proposito: tra una ondata e l'altra c'è una pausa, breve o meno breve. E la corretta pratica di attenzione /consapevolezza meditativa è farsi progressivamente più svegli sia riguardo alle ondate dei turbamenti, sia agli interstizi di pace tra i turbamenti. Infatti, se mettiamo l'accento solo sui turbamenti o solo sulla pace, cadiamo in una prospettiva distorta e squilibrante, mentre è necessario accorgersi fin dall'inizio della pratica che, nella nostra mente, tempesta e pace sono come intessute l'una nell'altra. Oltretutto, saper vedere la compresenza di pace e turbamento attenua la paura del turbamento e dunque, in ultima analisi, attenua il turbamento.
… L'accoglienza attenta degli spazi di pace in meditazione è solo una faccia della medaglia. Conviene adesso chiedersi quale sia l'atteggiamento giusto nei confronti dell'altra faccia, ossia delle varie forme di turbamento. Perché nella prassi meditativa, se un occhio dovrà essere per la pace, per apprendere a incontrarla, a rispettarla, a viverla, senza sgualcirla con l'attaccamento, l'altro occhio dovrà puntarsi sulla non pace, così come si esprime nei cinque impedimenti. Ora, come ben sa chiunque abbia una lunga pratica di raccoglimento alle spalle, l'atteggiamento più fruttuoso, oltreché più difficile, di fronte ai turbamenti è quello proprio di una madre responsabile verso il suo piccolo figlio naturalmente irresponsabile, vale a dire un atteggiamento fatto di accettazione, fermezza e intelligenza insieme. Questa immagine, che è opportuno rammentarsi migliaia di volte nella pratica, ha il vantaggio di presentare gli impedimenti come figli di cui prendersi cura, invece che come nemici da sconfiggere… Ora dire atteggiamento materno-responsabile significa dire attenzione sollecita e non giudicante: che è, appunto, l'atteggiamento da coltivare e sviluppare nei confronti degli impedimenti…
L'esercizio dell'attenzione non giudicante – che dapprima sarà, appunto, attenzione al continuo giudicare – produce col tempo un risultato, tra gli altri, della massima importanza, che è lo sviluppo di un graduale interesse nei confronti dei turbamenti che si avvicendano in noi; interesse che si estenderà poi, in qualche misura ai turbamenti degli altri. Per cui, ad esempio, un nostro moto di irrequietezza, una volta colto, sarà non soltanto doloroso ma anche, stranamente, interessante.
Ovviamente, ci troviamo qui a una svolta, perché prima di questo momento era impossibile stare davvero con i nostri stati negativi. Adesso succede invece questo, che non abbiamo più l'ossessione di sbarazzarcene e che, anzi, cominciamo ad avere l'umiltà di saperci convivere insieme, il che non significa, naturalmente, che ci piaccia averli. E un aumento di umiltà significa un aumento di ricettività e di disponibilità e dunque di interesse per la vita, che include i nostri stati negativi.
… Pe arrivare a questo interesse occorrono tempo, sforzo e disciplina: sarebbe strano, infatti, pensare che una madre responsabile possa rimanere attenta e accettante davanti a tutta la dipendenza, l'aggressività e l'impotenza del bambino senza avere disciplina. Allo stesso modo, il meditante ha bisogno di disciplina per fronteggiare il dispiegarsi degli impedimenti. La disciplina, come si diceva, di guardare senza giudicare tutto ciò che accade nella sua mente ogni momento. E poiché questo è difficile, a chi vuole coltivare la meditazione di consapevolezza viene proposto di aiutarsi mercé un “oggetto primario” o privilegiato di attenzione e cioè il respiro. In sostanza, la consegna è quella di studiarsi di aderire al respiro e, insieme, di “prendere nota” di quei pensieri, emozioni, sentimenti, sensazioni fisiche che via via emergono accanto al respiro…
Dunque, in pratica, nella meditazione di consapevolezza si richiede che l'attenzione sia rivolta alla respirazione e che, insieme, quanto più possibile, “fotografi” pensieri, emozioni ecc. che affiorano per ritornare quindi subito al respiro. La differenza tra “fotografare” un pensiero e indugiare in un pensiero è la stessa che corre tra il guardare un'auto che ci passa davanti mentre noi rimaniamo al bordo della strada e il salire a bordo di quell'auto. Una volta che questa pratica di “attenzione ancorata” (al respiro) non presenta più troppe difficoltà, si potrà passare, almeno per brevi periodi, alla pratica dell'attenzione totale, nella quale si invita le mente a prescindere anche dal supporto del respiro e ad essere consapevole il più possibile di tutti i suoi movimenti. Inutile dire che la pratica della consapevolezza aperta o attenzione totale presuppone che l'individuo abbia già raggiunto un ottimo livello di stabilità e di calma interiore…
Certo, l'agitazione, il torpore ecc. ostacolano l'accesso immediato alla tranquillità e alla perspicacia e in tal senso essi sono impedimenti. Però abbiamo anche visto che grazie al lavoro su di essi si genera uno spostamento di asse, dal regime della distrazione al regime della consapevolezza che è anzitutto pace. E in questo senso essi sono, nel lungo termine, non ostacoli bensì veicoli di pace. Poiché infatti essi ci sfidano, costringendoci sempre di più (man mano che prendiamo coscienza della posta in gioco) ad accendere una consapevolezza capace  di abbracciarli.
…Cerchiamo di osservare  più da presso tale questione che è, per l'appunto, la questione specifica  dell'unione degli opposti in meditazione, ricordando l'immagine alchemica del vaso ermetico nel quale i metalli vili sono cotti e trasformati in oro, che possiamo tentare di leggere così: nel vaso alchemico che è la disciplina meditativa, la fiamma dell'attenzione, il cui combustibile sono i metalli vili, ossia gli impedimenti, genera l'oro dell'intelligenza affettuosa. Infatti nella meditazione abbiamo da una parte l'esercizio della consapevolezza, dall'altra le ondate dei turbamenti: l'esercizio della consapevolezza continuamente ed energicamente sollecitato dalle onde dei turbamenti, i turbamenti incessantemente abbracciati e accolti dalla consapevolezza, che li guarda senza condannarli e senza nutrirli. I turbamenti servono la consapevolezza, la consapevolezza serve i turbamenti. Dunque nulla è inutile, tutto serve, tutto è grazia. Siamo distratti in meditazione? Accogliamo la distrazione. Siamo impazienti per essere distratti? Accogliamo l'impazienza. Ci compiacciamo per la nostra concentrazione? Accogliamo la vanità… Una assidua collaborazione tra i turbamenti e la consapevolezza non giudicante, un tirocinio parallelo vicendevole. I turbamenti insegnano alla consapevolezza a essere sempre più accogliente e spaziosa, a essere sempre più madre responsabile, e la consapevolezza insegna ai turbamenti a placarsi: dunque, un reciproco insegnamento di pace».

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